M.F. Che differenza c’è tra il cospirazionismo (quello tanto chiacchierato in svariate riviste ufologiche e siti specializzati) ed il cover-up? In altre parole: come starebbero le cose nella realtà? A.F. Non è tanto un discorso su come le cose dovrebbero stare realmente… Prima di tutto terrei a precisare che il fenomeno definito “cospirazionismo” a me non interessa. Il termine “cover-up” anch’esso è molto usato nell’ufologia, ma è un concetto improprio. In ogni caso la faccenda assume connotati ben diversi se volessimo piuttosto parlare di “salvaguardia”: essa è istituzionale e nasce da Enti reali ed ufficiali. Non chiama in causa chissà quali lobby particolari o nazioni altrettanto particolari, le quali sarebbero preposte a nascondere determinate informazioni alle masse. Il problema, semmai, tocca l’informazione scientifica. In questo caso essa verrebbe isolata dal contesto sociale tramite delibere ufficiali emanate dall’ONU sin dal 1946 per motivi di salvaguardia. Si noti che l’allora “salvaguardia” corrisponderebbe a ciò che noi oggi chiamiamo “censura”. Dopo lo sgancio delle bombe atomiche sul Giappone nel 1945, le prime Commissioni sull’Energia Atomica si occuparono di problematiche relative ad attacchi suicidi, armi batteriologice ecc… e di tutti i campi in cui il progresso scientifico avrebbe potuto influire in modo significativo, arrecando disturbo al contesto sociale. In virtù di tali fattori si decise che sarebbe stato meglio controllare il flusso dell’informazione scientifica, evitando addirittura che determinate informazioni venissero divulgate al pubblico in modo indiscriminato, onde prevenire isterismi di massa o, peggio ancora, atti di terrorismo suicida portati a compimento grazie all’utilizzo di determinati strumenti di distruzione di massa. M.F. Ma che accadde dopo? E’ possibile che le conseguenze di tali scelte si ripercossero sulla futura esplorazione spaziale? A.F. Ne subì delle conseguenze perché l’esplorazione spaziale era (ed è) una Scienza di Frontiera. Tutte le discipline scientifiche, le quali potevano avere delle ovvie implicazioni e rilevanze agli effetti di forme di energia e, quindi, potevano portare indirettamente (o direttamente) dei reali contributi nella creazione di armi di distruzione di massa, andavano sottoposte a questa salvaguardia. M.F. Potremmo dunque definirlo come “controllo”? A.F. Sì, ad un controllo per evitare che si verificassero degli abusi. Parlando dei documenti ufficiali prima menzionati, risultano delle frasi abbastanza dal sapore arbitrario, cioè di “facile o libera interpretazione”. Per esempio quando si leggono cose del tipo “…nel caso di qualunque informazione scientifica su discipline potenzialmente pericolose dev’essere soggetta a salvaguardia” è ovvio che nel “potenzialmente pericolose” si potrebbe includere effettivamente qualsiasi informazione. Quindi anche l’esplorazione spaziale rientrava in quel contesto di discipline potenzialmente pericolose. M.F. Ma che accadde allora quando si raggiunse il grande target ambito da tutti, cioè l’esplorazione della Luna? A.F. I primi dati significativi dovrebbero risalire al primo Lunar Orbiter, siamo nel 1965. Tali dati erano al quanto diversi da quello che ci si aspettava e quindi è probabile che il meccanismo di salvaguardia scattò irrimediabilmente già da quel periodo; comunque fosse era necessario studiare il problema prima di diffondere al pubblico informazioni. Il guaio era che tale attitudine fu applicata e amplificata al punto che non fu più possibile tornare indietro (arriviamo poi al Programma Apollo). In quel lasso di tempo diversi scienziati illustri si sbilanciarono nel pubblicare moltissimo materiale ufficiale (e qui non c’entra il cospirazionismo), ma il problema era che, in assenza di informazioni corrette e complete, si veniva a creare una situazione ambigua. Tutto il lavoro svolto e le teorie che gli scienziati proposero ed elaborarono soffrivano di una evidente incompletezza di dati di base, i quali venivano trattenuti. In parole povere mancavano alcuni tasselli fondamentali all’informazione che veniva fornita agli stessi scienziati! E questo riguardava prima la Luna e successivamente anche gli altri pianeti del Sistema Solare. M.F. Facciamo un passo indietro. Prima dell’inizio dell’esplorazione spaziale possiamo annoverare qualche sintomo evidente di tale salvaguardia o censura che dir si voglia? A.F. Abbiamo un caso accertato legato al capo del Progetto Manhattan, Robert Oppenheimer (1), il quale scrisse nel Bollettino degli Scienziati Americani (documento ufficiale) che alla Commissione per l’Energia Atomica (quella menzionata all’inizio) egli aveva fornito informazioni incomplete. Questo fu dichiarato per iscritto e pubblicamente. Ciò starebbe a indicare che le delibere dell’ONU del 1946 (evidentemente tuttora vincolanti) furono prese esse stesse in assenza di parametri e informazioni complete, dettagliate, sicure e di valore scientifico. M.F. Si rischia allora di speculare a vuoto nel mondo della scienza oggi? A.F. Certo perché si corre il serio rischio di fare scienza partendo da presupposti e basi incomplete, decise da delibere esse stesse redatte in mancanza di quei parametri e quelle informazioni complete ed utili a stabilire criteri di selezione coerenti, a detta di quello che le ha fornite. Un vero e proprio circolo vizioso. Questa situazione, come si può notare, non è frutto di occulte cospirazioni, ma di delibere internazionali dell’ONU sofferenti della medesima carenza di dati di cui i suoi stessi redattori soffrivano! Forse pregiudizi, forse timore… ma nulla di nascosto. M.F. Parliamo adesso dell’esplorazione di Marte. Sembra quasi che questo pianeta rappresenta un vero oggetto di terrore-amore da parte di scienziati e appassionati. Come si giustifica questo apparente disagio? A.F. E’ difficile stabilire se effettivamente Marte susciti tale disagio. Piuttosto va rilevato il fatto che sono stati spesi dei capitali ingenti per l’esplorazione del quarto pianeta, somme che non sono state elargite allo stesso modo per altri corpi del Sistema Solare o per la Terra stessa. E quindi logico dedurre che Marte rappresenti qualcosa di particolarmente interessante. Facciamo però una puntualizzazione: al di là di quello che può essere il puro interesse per la meteorologia marziana o per altre caratteristiche planetarie, è ovvio che se non ci fosse qualcos’altro di veramente importante, potremmo dire che studiare Marte o studiare il fondo degli oceani terrestri avrebbe un valore pressocchè simile anche per quel che concerne i finanziamenti. Se dunque le cose non stanno propriamente in questo modo dobbiamo altresì dedurre che Marte potrebbe riservare aspetti di interesse e importanza ben oltre il “normale” ambito scientifico, cose da studiare che richiedono molti più investimenti e strumenti di rilevamento. M.F. Va bene, ma sono trascorsi ormai praticamente 41 anni dalle prime sonde Mariner 4 e 5…. fino ad arrivare all’ultima, l’MRO. Intanto, soldi o non soldi, sonde e robottini inclusi…. abbiamo un ricchissimo archivio di immagini in b/w che dicono tutto e niente. E allora? A.F. In questo caso subentrerebbe lo stesso meccanismo di salvaguardia (o censura) che abbiamo spiegato prima. Ed è abbastanza palese il fatto che se già negli anni 60 disponevamo di mezzi in grado di fotografare la Luna in dettaglio e nel 1975 disponevamo di mezzi adatti a riprendere Marte in dettaglio (si pensi poi alle Viking 1 e 2), è sorprendente come le recenti sonde orbitali, dotate delle ultime ed efficienti tecnologie per il telerilevamento, vengano presentate al pubblico con immagini che… alla fine della storia ricalcano più o meno la stessa risoluzione e definizione delle precedenti. Talvolta alcune immagini hanno una definizione pari alle immagini riprese con i cellulari. Sembrerebbe ovvio che c’è una certa volontà nel non voler presentare al pubblico un’informazione completa.
M.F. - Ammettiamo che su Marte ci sia stata o ci sia oggi qualche forma di vita attiva, come la mettiamo? Che problema o problemi innescherebbe? A.F. Nasce un problema di principio. Se ci fosse quel tipo di forma di vita che si suppone (tralasciamo la tipologia come vegetale, animale…) la prima domanda, in base ai dati disponibili, è “con quale energia essa si sostiene”. Si noti che, più della riproduzione di questa ipotetica vita indigena, maggior importanza va data proprio al come essa si sostenta. Apriamo una parentesi esplicativa: consideriamo che, sempre in funzione dei succitati documenti di delibera ONU, la distinzione tra un cittadino Americano, Europeo o Africano non veniva fatta sulla base del Prodotto Interno Lordo, del reddito pro capite o altri parametri analoghi, ma in base all’energia disponibile. Ora dovrebbe essere chiara l’importanza di capire e sapere con quale tipo/fonte energetica l’ipotetica vita marziana si sostiene, dopodichè, comprese bene le condizioni ambientali del pianeta, il passo successivo sarebbe quello di valutare se tale sostentamento energetico sia riproducibile anche qui sulla Terra. Le conseguenze sono evidenti: tale fonte di energia potrebbe essere pericolosa se davvero fosse riprodotta qui? Inoltre: se la sua riproducibilità/producibilità costasse poco o nulla (rispetto a quelle oggi largamente impiegate) quanto sarebbe ancor più pericolosa e destabilizzante? Probabilmente sarebbe fattibile in condizioni e stabilimenti non richiedenti accorgimenti paragonabili a quelli tradizionali, quindi meno visibilità degli impianti dai satelliti, bassi costi e accessibilità a chiunque… Potenzialmente pericolosa. M.F. Adesso tocchiamo il mito del Pianeta Rosso, dalla bassa pressione atmosferica e dal colore perennemente rosso. A che fiaba potremmo accostare tutto questo? A.F. Mah… piuttosto che inveire dicendo che “non è vero” potremmo “girare la frittata” e stabilire che non sappiamo se quello che ci viene detto sia del tutto vero. Sappiamo per certo che alcune immagini sono state alterate volontariamente. Quindi, se un Ente Spaziale pubblico ha alterato le immagini volontariamente deduciamo che la stessa cosa potrebbe essere stata fatta con i dati. In mancanza di certezze non possiamo stabilire se tutti i dati siano verosimili, a parte quelli di cui siamo invece sicuri che siano corretti. In modo particolare dobbiamo guardare a quei dati risalenti a PRIMA dell’arrivo delle sonde orbitali, raccolti mediante i telescopi a Terra e gli spettrografi… Dall’analisi dello spettro è possibile avere una mezza conferma di determinate ipotesi. Infatti sarebbe alquanto paradossale l’acquisizione di dati che smentirebbero completamente quelle “semi-conferme” ottenute da Terra. Ecco perché è utile consultare i vecchi resoconti astronomici risalenti a quando la censura non era così marcata, diciamo prima del 1946 o al massimo entro il 1956. In questo modo possiamo tentare un’analisi comparativa tra dati nuovi e dati vecchi e vedere le differenze e le similitudini tra essi M.F. Alcuni studi corroborati da osservazioni telescopiche e spettrografiche effettuate negli anni 50 del XX secolo davano indicazioni che su Marte potesse esistere qualche forma di vegetazione e che l’atmosfera del pianeta non era così sottile come si sostiene oggi… E, attenzione, non erano attrezzature da poco, ma il meglio della tecnologia dell’epoca, la stessa tecnologia che ha permesso importanti scoperte scientifiche. Dunque? A.F. Sono due problemi differenti. Le analisi spettrografiche permisero di rilevare la composizione e la pressione atmosferica al meglio che si poteva. La presenza di vegetazione era dedotta principalmente dal cambiamento di colore di determinate zone del pianeta sulla base del trascorrere delle stagioni: mancavano tuttavia rilevazioni certe. Anche le formazioni nuvolose bianche e gialle si ritenevano formate rispettivamente da vapore acqueo o tempeste di sabbia, ma anche qui mancavano certezze. E’ però un dato di fatto che, a quel tempo (circa 50 anni fa), l’opinione generale riguardo Marte (compresa la Comunità Scientifica) era che sul pianeta potevano esistere primitive forme di vita del tipo muschi e licheni, che l’ambiente fosse decisamente più freddo di quello terrestre, che la presenza di vapore acqueo fosse contenuta, che ci fosse una sovrabbondanza di anidride carbonica e che la pressione atmosferica era molto contenuta. Sostanzialmente le condizioni di Marte erano già note. Non siamo in grado di dire con assoluta certezza se tutti i dati siano stati completamente confermati dalle rilevazioni delle sonde recenti. Tale assunto nasce dal fatto che, in presenza di immagini alterate, sorgono legittimi dubbi anche a proposito dei dati ambientali; quindi l’incertezza sull’attendibilità della fonte non manca. Ogni volta occorre porsi il problema e tentare di fare delle verifiche incrociate, altrimenti si rischia di formulare ipotesi e pareri sulla base di informazioni insufficienti o deliberatamente errate. M.F. Parliamo del Ricercatore Indipendente. Nel caso volesse svolgere un lavoro di qualità di cosa si dovrebbe anzitutto sbarazzare? A.F. Il Ricercatore Indipendente dovrebbe cercare di svolgere un lavoro utile alla società in generale; egli deve rendersi conto che non può competere con il Mondo Accademico degli Scienziati Professionisti per vari motivi: prima di tutto il grado di specializzazione di uno Scienziato è certamente superiore, mentre il Ricercatore Indipendente il più delle volte ha una conoscenza sommaria e generale. Tuttavia il vantaggio che ha il Ricercatore Indipendente sta nella libertà dai vincoli professionali ai quali spesso lo Scienziato è legato presso l’Ente per cui egli lavora. E’ chiaro che se l’Ente che da lo stipendio (o i fondi) al Ricercatore Professionista è lo stesso che fornisce le informazioni probabilmente verrà a mancare una certa autonomia allo Scienziato. Il Ricercatore Indipendente è autonomo e libero, ha un lavoro solitamente diverso ed altri interessi. Tuttavia egli non deve affatto supporre di sostituirsi alla Scienza o agli Scienziati; piuttosto dovrebbe cercare e scovare le incongruenze e le possibili alterazioni che vengono fornite nell’informazione scientifica. Poiché talvolta persino lo Scienziato lavora su informazioni incomplete o alterate il compito del Ricercatore Indipendente dovrebbe essere quello di far notare, fin dove è possibile, tali contraddizioni e incongruenze. Un lavoro che potrebbe apparire molto complesso, ma che forse lo è meno che svolgere anche la professione di Scienziato. Chi è Ricercatore Indipendente dovrebbe fare studi, analisi e comparazioni incrociati e interdisciplinari, alla ricerca di quel materiale che inchioderà le contraddizioni scientifiche oggi diffuse. In realtà questo lavoro non è particolarmente complesso se consideriamo che sono proprio gli Enti Spaziali Pubblici (e non solo) che diffondono una enorme quantità di materiale pubblico e disponibile per tutti. M.F. Parliamo dei “taroccamenti” fotografici. Pare che (secondo diverse opinioni largamente diffuse nel web) moltissimi frames di Spirit e Opportunity siano in realtà dei veri e propri capolavori di “taroccatura”. Ma, attraverso le moderne tecnologie digitali, come si fa a camuffare e trasformare un frame, addirittura quantizzando le irregolarità e le linee curve fino a raddrizzare tutto? A.F. I metodi sono tanti, circa una trentina, ma ne possiamo esaminare alcuni interessanti che però non dovrebbero essere generalizzati a tutto. Si parte anzitutto dall’acquisizione di coordinate DEM, ovvero la trasposizione di un’immagine fotografica in un modello virtuale tridimensionale (usato da NASA ed ESA). Tale operazione attualmente viene operata in automatico per esempio dai Rovers su Marte perché ha la funzione di stabilire le quote di operatività delle sonde stesse. Tanto per rendere l’idea, i Rovers devono sapere se hanno davanti terreno in salita, in discesa, dossi, affossamenti onde evitare di impantanarsi o di ribaltarsi. M.F. Ok, questo potrebbe andare persino bene: l’idea è resa in modo chiaro. Ma…? A.F. Ma… tutte le immagini che provengono dai Rovers saranno trasformate al Centro di Controllo in modelli 3D virtuali che, successivamente, saranno rivestite di una texture particolarmente efficace che, a quel punto, rende una geometria globale del terreno modificabile da parte di chiunque. A guardarla sembrerà un’immagine vera. Il tutto poi verrà rifotografato e sostituirà l’immagine vera e naturale iniziale. Quello che avremo è una rappresentazione virtuale che spesso la NASA stessa ammette di fare e li pubblica con relativi dati. Spesso però ha pubblicato tali immagini sostenendo che fossero vere e genuine. L’utilità di queste immagini è che si possono tranquillamente nascondere determinati particolari del terreno che non devono essere mostrati al pubblico, al che si ritorna al problema di prima: qualora ci fossero forme di vita, o simili, da non mostrare esse verranno rese irriconoscibili pur rimanendo nell’immagine. Semplicemente non si riconosceranno perché saranno state allungate, ristrette, appiattite… tutte operazioni permesse dall’editing digitale e che la vecchia fotografia tradizionale non permetteva, salvo che annebbiamenti o coperture con altri dettagli fatti in modo “artigianale”. L’editing digitale modifica la geometria delle cose: un cubo diverrà una sfera! M.F. Ma un Ricercatore Indipendente non corre il rischio di diventare un “donchishottista” o un “sanchopanzista”? A.F. Beh, potrebbe accadere che dinnanzi a “taroccature” e falsificazioni si potrebbe essere tentati di non vederle, perché è molto meno faticoso ed è molto più rilassante supporre che non ci sia nessuna alterazione piuttosto che pensare a qualche atto di slealtà da parte degli Enti Spaziali ecc… Nei fatti però non è possibile ricondurre determinate sequenze progressive di immagini ad una logica, quindi bisognerebbe dedurre che, date due foto diverse che rappresentano la stessa cosa, una potrebbe essere corretta e l’altra no. Ma come facciamo a sapere quale è vera e quale è falsa? Non possiamo nemmeno stabilire che quella falsa sia quella che mostra più particolari… Occorre allora fare un’analisi a tappeto di molti frames che rappresentano la stessa porzione di terreno. Solo così potremmo farci un’idea più accurata sulla presenza o meno di anomalie di superficie o alterazioni. Note: (1) si suggerisce la lettura di questi documenti: Il laboratorio di Los Alamos, Il Progetto Manhattan, La bomba atomica. Il Dr. Alessio Feltri è nato a Savona il 4 febbraio 1951. Dal 1969 fino al 1979 ha svolto la professione di musicista, compositore ed esecutore di musica "progressiva". Tra l'altro ha prodotto diversi album ben conosciuti dai cultori di questo genere musicale. Nel 1970 ha conseguito il diploma di maturità classica e nel 1979 si è laureato in Architettura con una tesi sulla psicologia della forma applicata ai campi polari, contenente la “Teoria Gravitazionale delle linee bidimensionali curve”, selezionata per una mostra itinerante a carattere europeo sponsorizzata dalla Tecno s.p.a. Nel 1981 Ha conseguito la specializzazione in Metodologie di Intelligenza Artificiale applicate ai processi informatici (motori inferenziali, sistemi esperti, grafica tridimensionale, realtà virtuale). Dal 1982 al 1987 progettista “free lance” di software CAD per primarie ditte di arredamento (Boffi, Driade, Mazzei), con successiva cessione dei diritti sui brevetti ad aziende statunitensi. Dal 1988 al 1998 attività di architetto libero professionista in Milano, con esperienze di Industrial Design (Driade, Movi, Cristal Art). Molte opere sono state pubblicate su libri e pubblicazioni periodiche di settore (Casa Vogue, Modo, Abitare) oppure menzionate in corsi universitari. Dal 1999 esercita l’attività nel suo studio in Savona, affiancando all’attività di architetto quella di esperto di grafica e realtà virtuale. Come membro della Società Italiana di Malacologia ha svolto ricerche sulle migrazioni di forme biotipiche di molluschi dall’Atlantico al Mediterraneo. Da sempre studioso di esobiologia ha scritto diversi articoli relativi all’interpretazione visuale delle immagini provenienti dalle sonde NASA ed ESA.
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