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PREMESSA - Siamo lieti di presentare la revisione 2013 di questo articolo pubblicato nella sua forma originale nell’ottobre 2005 su Pianeta Marte.net.
La necessità di aggiornare il materiale è stata motivata principalmente da un paio di fattori: 1) il costante interesse mostrato da molti appassionati i quali,
nel corso del tempo, hanno linkato l’articolo nelle pagine di numerosi forum; 2) i cambiamenti e le importanti novità frutto di questi anni di esplorazione
marziana (in modo particolare con la missione MSL Curiosity). Cosa cambierà rispetto alle precedenti versioni? Affronteremo l’argomento secondo
un ordine logico più adeguato ai tempi di oggi.
La nascita e l’evoluzione della querelle “cieli azzurri di Marte” in Italia. Benchè su questo argomento se ne siano occupati nel nostro Paese vari
siti web da circa una decina di anni, è stato proprio Pianeta Marte.net a fornire l’input decisivo verso questo soggetto pubblicando verso ottobre 2005 le
prime elaborazioni coerenti di immagini originali NASA con significativa riduzione della tinta monocroma tendente al rosso-arancio. In seguito altri
studiosi “indipendenti” italiani hanno seguito lo stesso esempio ampliando e arricchendo il panorama di immagini rielaborate.
Il primo costrutto ideologico: le teorie del complotto - La tendenza a cadere nel complottismo in questi ultimi decenni si è accentuata a dismisura
praticamente su tutto quello che la mente umana ha trovato buono per costruirci sopra compreso l’argomento di questo articolo. Perchè? Le teorie di
cospirazione hanno un fascino misterico irresistibile, sono facili da assimilare, comode da vivere perchè non richiedono la ricerca di soluzioni - diciamo -
convenzionali. Le teorie di complotto si nutrono del ping-pong mediatico costituito da notiziole che di volta in volta subiscono alterazioni assai rilevanti,
vengono esasperate in blog e forum del settore e creano confusione e disinformazione.
La conseguenza finale è che la NASA avrebbe alterato i colori di Marte alla superficie per nascondere alle masse la verità che Marte sarebbe (in base a
varie credenze più o meno diffuse) la patria degli alieni, un avamposto di alieni, un mondo uguale alla Terra pronto per essere abitato nel caso qui tutto
andasse a rotoli eccetera... Per contro, una tesi ricorrente che riteniano in definitiva logica e plausibile recita più o meno così: “Nascondere verità su vita
marziana o simili sarebbe un danno per la NASA stessa e sarebbe controproducente in quanto potrebbe ingenerare sfiducia da parte di chi ha il dovere
di elargire finanziamenti pubblici. Quindi è nell’interesse stesso della NASA non nascondere nulla!” (*). Qual è la nostra posizione al riguardo?
•
Non ci interessano le teorie di complotto perchè dal nostro punto di vista non costituiscono metodologie scientifiche per analizzare e affrontare
argomenti di carattere tecnico.
•
Non siamo nemmeno troppo accondiscendenti alle apologie anticomplottiste. Tuttavia dobbiamo riconoscere ad alcuni Autori di questa categoria il
pregio di offrire al Pubblico materiale e spiegazioni più attendibili oltre che una maggior coerenza scientifica.
Comportamenti scorretti che meritano di essere segnalati a beneficio del Pubblico - Vi sono stati e vi sono tuttora personaggi che si sono
serviti della “querelle” dei cieli azzurri di Marte come catalizzatore o strumento per indirizzare infine l’ignaro lettore su questioni che nulla hanno a che
vedere con la suddetta querelle. Inizialmente anche noi abbiamo un po’ sofferto di questa piaga perchè si tratta di una strategia psicologica vincente
basata su un uso improprio della logica consequenziale “Poichè è vero che questa cosa è falsa allora è falso che quell’altra cosa sia vera”. In altre
parole: “Se è vero che su Marte ci sono cieli azzurri, mentre lo vediamo sempre rosso nelle immagini, allora significa che le piramidi esistono davvero...
le facce sono facce...le città sono città...i templi sono templi....e via discorrendo”. Vi garantiamo che tale sotterfugio è potente e funzionale. Da parte
nostra, con il tempo e maturando esperienza, abbiamo compiuto uno sforzo per allontanare tale errata attitudine.
Cosa non significa la presenza di un cielo azzurro su Marte - Contrariamente a quanto si potrebbe ingenuamente supporre osservando immagini
che ritraggono paesaggi non terrestri, l’aspetto apparente non è in prima analisi l’evidenza o la prova di quanto molti hanno ipotizzato. Se ritenessimo
che la vita su Marte esiste (oppure non esiste) perchè il cielo è azzurro o rosso oppure di altri colori stiamo commettendo un errore di notevole spessore.
D’altro canto, la visione di una condizione climatologica marziana con la presenza di cieli linpidi e azzurri può soltanto indicarci che Marte è un mondo
“similterrestre”, cioè un pianeta che assomiglia moltissimo alla Terra. Tutto qui. La ricerca della vita è ben altra cosa in quanto si basa sullo studio di dati
e caratteristiche chimico-fisiche le quali non si risolvono di certo in una semplice “bella giornata soleggiata su Marte”.
Naturalmente questo dovrebbe farci riflettere seriamente su quanto sia in realtà straordinario e prezioso avere un pianeta così simile alla Terra a “due
passi” da noi. La sola consapevolezza di ciò dovrebbe fornirci l’input giusto per mettere da parte la nostra inveterata tendenza autolesionista e spingerci
a investire tempo e denaro per l’esplorazione e il raggiungimento di questo pianeta. Probabilmente, come è stato osservato, Marte l’avremmo già dovuto
raggiungere da decenni e avervi già installato basi permanenti. (**)
Il costrutto del “Pianeta Rosso” - Poichè ad occhio nudo Marte appare generalmente di color bianco-arancione questo pianeta si è così guadagnato
l’effige di “pianeta rosso”. Cosa non significa però tutto ciò? Sostanzialmente, il fatto che il disco planetario di Marte ci mostri un’apparente dominante
cromatica tendente all’arancione non implica che, qualora ci trovassimo ad esplorare la sua superficie, ogni cosa dovrà necessariamente apparire di tale
colore, cielo compreso. Generalmente Marte mostra un’atmosfera trasparente, eccezion fatta per qualche formazione nuvolosa talvolta visibile o per la
turbolenza prodotta di tanto in tanto dalle tempeste di vento, per cui la diffusione della luce diurna dovrebbe rispettare il principio fisico del Rayleigh
Scattering.
Cosa vedrebbe il nostro occhio se fossimo lì? - Suolo, cielo, montagne, rocce, crateri ecc. costituiscono sommariamente l’aspetto di Marte alla
superficie. Ad illuminare tutto ciò è lo stesso Sole che illumina la Terra, pertanto anche Marte riceve luce bianca ma in quantità minore a causa della
maggiore distanza di orbita. L’illuminazione inoltre cambia a motivo dell’eccentricità della suddetta orbita; di conseguenza avremo giornate ancor meno
luminose quando Marte si trova all’afelio rispetto a quando si trova al perielio (42 milioni di km di differenza).
Facciamo un esempio. Supponiamo di trovarci a camminare su Marte verso le 14 del pomeriggio, durante l’estate, in condizioni meteorologiche normali
e a latitudine di 30° N, dovremmo essere in grado di distinguere nettamente il terreno fino all’orizzonte percebibile con la propria dominante cromatica
prevalente; dovremmo anche distinguere chiaramente il cielo con la relativa dominante blu e la presenza di una leggera cappa di particolato a quota
radente dal colore rosato; infine, sempre guardando il cielo, dovremmo vederlo sfumare gradualmente verso il blu sempre più cupo man mano che si
punta allo zenith oppure a nord. In teoria si dovrebbe vedere qualche stella fra le più luminose della volta celeste nel punto in cui il cielo è meno
luminoso.
Diversamente, qualora le condizioni meteo dovessere risultare differenti potremmo allora osservare cieli tendenti al bianco-celeste, bianco-rosato come
indicatori di una discreta presenza di umidità (vapore acqueo) e/o particolato a bassa quota. Inoltre, in caso di tempeste di sabbia, una pesante cappa di
polvere potrà formarsi localmente la quale però si ridepositerà nelle ore o nei giorni immediatamente seguenti.
Il Rayleigh Scattering come fenomeno fisico universale - Poichè i fenomeni fisici riguardano l’intero Universo, non sarebbe logico pensare che ve
ne siano alcuni che riguardano la Terra e non Marte. Semmai, potrebbe cambiare l’intensità con la quale alcuni si manifestano su un pianeta rispetto ad
un altro. Prendiamo allora in esame il Rayleigh Scattering, un fenomeno ottico che riguarda la diffusione della luce in atmosfera.
Perchè il cielo è blu? (semplice) Annibale D'Ercole Osservatorio Astronomico - Bologna - Non c’è dubbio che sia stato proprio il bel colore blu
ad ispirare Manzoni nella descrizione, nei Promessi Sposi, di “… quel cielo di Lombardia, così bello quando è bello, così splendido, così in pace”. Ad un
fisico, tuttavia, il cielo pone riflessioni più prosaiche: perché il cielo è blu? E perché il Sole, al tramonto, appare rosso?
Com’è noto, la luce visibile di color bianco proveniente dal Sole è composta dalla sovrapposizione di onde elettromagnetiche di diverse lunghezza
d’onda che variano dai 380 nm [1 nanometro (nm) = 1 milionesimo di millimetro] della radiazione che percepiamo come violetta, fino ai 720 nm della
radiazione che ci appare rossa, passando per il blu, verde, giallo, arancio. Una volta raggiunta la Terra, un raggio solare interagisce con l’atmosfera.
Quest’ultima è composta per il 78% da azoto e per il 21 % da ossigeno.
Sono anche presenti argon, acqua (in forma di vapore, goccioline e cristalli di ghiaccio) e particelle solide (polveri, ceneri dai vulcani e sale dal mare).
Gli effetti dell’interazione tra luce ed atmosfera dipendono dalla lunghezza d’onda della radiazione e dalle dimensioni degli oggetti su cui questa incide.
Le particelle di polvere e le goccioline d’acqua sono molto più grandi della lunghezza d’onda della luce visibile: in questo caso la luce viene riflessa in
tutte le direzioni allo stesso modo, indipendentemente dalla propria lunghezza d’onda. Le molecole di gas hanno dimensioni inferiori e la luce si
comporta diversamente a seconda della sua lunghezza d’onda.
La luce rossa ha una lunghezza d’onda maggiore e tende a “scavalcare” le particelle più piccole senza “vederle”; questa luce, dunque, interagisce molto
debolmente con l’atmosfera e prosegue la sua propagazione rettilinea lungo la direzione iniziale. Al contrario, la luce blu ha una lunghezza d’onda
inferiore e si “accorge” della presenza delle molecole da cui è infatti riflessa in tutte le direzioni (fu Einstein a dimostrare nel 1911, contrariamente a
quanto si credeva in principio, che erano proprio le molecole, e non le polveri in sospensione, la causa della diffusione).
Questa diffusione differenziale dipendente dalla lunghezza d’onda è chiamata, in inglese, Rayleigh scattering (da Lord John Rayleigh, il fisico inglese
che per primo la descrisse nella seconda metà dell’Ottocento). Più precisamente, la quantità di luce diffusa è inversamente proporzionale alla quarta
potenza della lunghezza d’onda. Ne consegue che la luce blu è diffusa più di quella rossa di un fattore (700/400)4 ~ 10.
Proprio nel Rayleigh scattering risiede la risposta alle domande che ci siamo posti all’inizio. Nell’attraversare l’atmosfera, la maggior parte della
radiazione di maggior lunghezza d’onda prosegue la sua traiettoria rettilinea. La luce rossa, arancione e gialla viene influenzata solo in minima parte
dalla presenza dell’aria. Al contrario, la luce blu è diffusa in tutte le direzioni. In qualunque direzione si osservi, parte di questa luce giunge ai nostri occhi.
Il cielo, pertanto, appare blu. Vicino all’orizzonte il cielo è di un azzurro più chiaro perché la luce, per raggiungerci da questa direzione, deve attraversare
più aria e viene diffusa maggiormente; pertanto siamo raggiunti da una minor quantità di luce blu. Le nuvole e la nebbia ci appaiono bianche perché
consistono di particelle più grandi delle lunghezze d’onda della radiazione visibile, e diffondono tutti i colori allo stesso modo. Tuttavia, in particolari
condizioni, è possibile che in aria si trovino in sospensione particelle più piccole.
Alcune montagne sono famose per le loro foschie blu (ad es. a Les Vosges in Francia). In questo caso gli aerosol di terpene rilasciati dalla vegetazione
reagiscono con l’ozono dell’atmosfera formando particelle di circa 200 nm adatte a diffondere la luce blu. A volte, l’incendio di una foresta o un’eruzione
vulcanica possono riempire l’atmosfera con particelle delle dimensioni di 500-800 nm. Queste particelle sono pertanto in grado di diffondere la luce
rossa, provocando un effetto opposto a quello usuale. In questo caso è la luce rossa ad essere diffusa via dal raggio incidente e questo provoca, in
alcuni casi, una colorazione blu della Luna. Questo è un effetto che accade assai di rado e nella lingua inglese è preso ad esempio di evento raro (once
in a blue moon, una volta ogni luna blu; l’analogo del nostro “una volta ogni morte di papa”).
Se fossimo sulla Luna, a causa dell’assenza di atmosfera (e della diffusione ad essa connessa), il cielo apparirebbe nero e il Sole sarebbe bianco. Sulla
Terra, invece, in conseguenza del Rayleigh scattering, parte della componente blu è rimossa dai raggi diretti del Sole che pertanto ci appare giallo.
Questo effetto è amplificato al tramonto, quando il Sole è vicino all’orizzonte. I raggi solari diretti attraversano uno strato maggiore di atmosfera e
vengono maggiormente impoveriti della componente blu. Il Sole, dunque, diventa sempre più rosso man mano che il tramonto procede. Le immagini
inviateci dalle sonde Viking nel 1977 e Pathfinder nel 1997 hanno mostrato che il cielo visto da Marte appare rosso. Questo è dovuto alla polvere ricca
di ossido di ferro (che appare rosso), sollevata durante le bufere che si verificano di tanto in tanto sul pianeta rosso (come viene appunto
soprannominato Marte). Il colore del cielo marziano dipende dunque dalle condizioni atmosferiche. Esso è blu in assenza di bufere recenti,
ma risulta comunque più scuro di quello terrestre a causa della minore quantità di atmosfera.
Perchè il cielo è blu ? (avanzato) Annibale D'Ercole Osservatorio Astronomico - Bologna - Se poniamo un elettrone in un punto dello spazio
attraversato da un’onda elettromagnetica, questo elettrone comincerà ad oscillare "su e giù" rispetto alla posizione iniziale in risposta al campo elettrico
oscillante dell’onda, proprio come farebbe un sughero galleggiante sull’acqua quando è investito da un’onda. Al contrario del sughero, tuttavia,
l’elettrone, possedendo una carica elettrica e, emette radiazione la cui intensità I è data da
dove c è la velocità della luce, e la carica dell’elettrone ed a la sua accelerazione. Dunque un elettrone inizialmente fermo non emette radiazione. Una
volta investito da un’onda elettromagnetica, però, l’elettrone sperimenta un’accelerazione alternata della stessa frequenza dell’onda incidente ed emette
a sua volta radiazione di frequenza pari a quella del fascio incidente. In altri termini, la radiazione è "diffusa" in tutte le direzioni. Questa diffusione viene
detta Thompson scattering, e la sua efficacia non dipende dalla frequenza della radiazione incidente.
Se però l’elettrone non è libero, ma posto in un atomo (come accade nell’atmosfera), le cose vanno diversamente. In questo caso l’elettrone (negativo)
è legato al nucleo atomico (positivo) tramite una forza elettrica e, per quel che concerne le argomentazioni che seguono, il suo moto può essere
assimilato a quello di una molla: l’elettrone oscilla rispetto al nucleo, così come l’estremità di una molla oscilla rispetto alla sua posizione di equilibrio. E'
bene, allora, accantonare per il momento, il nostro elettrone e approfondire meglio il comportamento di una molla. Questo ci permetterà di chiarire,
successivamente, il problema dell’interazione di un elettrone atomico con un fascio di radiazione incidente.
(Si prenda come esempio un Dinamometro, strumento di misura usato in Fisica, costituito da una molla alla quale è possibile appendere piccoli pesi per
misurarne la massa - nota di Pianeta Marte.net)
Consideriamo una pallina di massa m posta all’estremità di una molla e tendiamo la molla stessa spostando la pallina fino ad una distanza x dalla
posizione di equilibrio. La forza esercitata dalla molla sulla pallina si può scrivere come Fm = - k x
La costante k è una caratteristica della molla (dà una misura della sua elasticità) ed il segno negativo sta ad indicare che la forza è sempre indirizzata in
senso opposto allo spostamento. Infatti, quando si tende la molla c’è uno spostamento positivo della pallina su cui la molla esercita una forza di
richiamo in senso opposto; se invece comprimiamo la molla lo spostamento è negativo e la molla spinge la pallina di nuovo in senso opposto. Dalla
seconda legge di Newton sappiamo che ogni forza, e dunque anche quella esercitata dalla molla, può essere espressa come il prodotto della massa m
per l’accelerazione a impressa alla massa dalla forza stessa: F = m a
Dall’uguaglianza di questa espressione con quella data più sopra (F = Fm), otteniamo per l’accelerazione la formula a = - ( k / m ) x
Se ora lasciamo andare la molla, la pallina posta alla sua estremità oscillerà avanti e indietro rispetto alla sua posizione di equilibrio in un intervallo
-D < x < D, dove D è l’estensione massima dell’estremità della molla dalla posizione di equilibrio (l’estensione a cui abbiamo sottoposto la molla
inizialmente). Si può dimostrare facilmente che il moto della pallina è di tipo sinusoidale e può essere espresso, ad esempio, come x (t) = D cos (ot),
dove t è il tempo e o = (k/m)0.5 è connesso alla frequenza di oscillazione ν o tramite la relazione o = 2πvo.
Nota:
In effetti, l’accelerazione è data dalla derivata seconda rispetto al tempo dello spostamento a = d2x / dt2
L’equazione del moto per la pallina all’estremità della molla è pertanto (d2 x / dt2) - o ^2 x = 0
la cui soluzione generale, com’è facile verificare, è data da x ( t ) = D cos ( ko t + )
In cui D e sono due costanti che dipendono dalle condizioni iniziali.
In conclusione, si può dimostrare che l’accelerazione a cui è sottoposta la pallina dopo che si è "stuzzicata" la molla è a = o2 D cos ( o t )
Dunque, il sistema molla+pallina non esegue vibrazioni casuali, ma oscilla ad una ben precisa frequenza ni.gif (836 byte)o, caratteristica del sistema
(dipende dalla elasticità della molla e dalla massa della pallina). Molti sistemi fisici reagiscono ad una sollecitazione esterna mettendosi ad oscillare con
una propria frequenza caratteristica. Un pendolo, una volta scostato dalla sua posizione di equilibrio e lasciato poi a se stesso, oscilla con una
frequenza legata alla sua lunghezza (pendoli più corti hanno frequenze maggiori).
E' esperienza comune che è possibile regolare l’ampiezza di oscillazione dell’altalena su cui si è seduti, ma non la sua frequenza; per ottenere
oscillazioni più frequenti è necessario ricorrere ad altalene più corte. Le corde di una chitarra o un diapason rappresentano ulteriori esempi di sistemi
fisici che, una volta sollecitati, reagiscono vibrando ad una frequenza ben precisa. Tali sistemi vengono detti oscillatori armonici. (le nozioni sul moto
armonico sono tra l'altro reperibili in tutti i testi di fisica delle scuole Medie Superiori - nota di Pianeta Marte.net).
Possiamo ora tornare al nostro atomo e al problema di come esso reagisce una volta investito da un’onda elettromagnetica di data frequenza. Nel
contesto della fisica classica (ovvero in assenza di effetti quantistici) un elettrone in un atomo può essere assimilato ad un oscillatore armonico: esso
oscilla attorno al nucleo con una frequenza caratteristica, analogamente alla pallina posta all’estremità della molla nell’esempio precedente. La f
requenza caratteristica dipende dalla struttura dell’atomo e dalla forza elettrostatica effettivamente esercita tra l’elettrone e il nucleo.
Atomi diversi hanno frequenze caratteristiche diverse. Tuttavia, un elettrone atomico investito da un’onda elettromagnetica rappresenta un problema un
poco più complicato rispetto all’esempio della molla dato più sopra. Mentre infatti quest’ultima, dopo la sollecitazione iniziale, è libera di oscillare senza
subire ulteriori interferenze esterne, l’elettrone è continuamente sottoposto all’azione del campo elettrico oscillante della radiazione incidente. In questo
caso, oltre alla forza di richiamo analoga ad Fm esercitata dal nucleo atomico, sull’elettrone agisce anche la forza elettrica Fe = eE, dove e è la carica
dell’elettrone ed E è il campo elettrico dell’onda elettromagnetica.
Realtà da accettare e miti da sfatare. L'affermazione secondo cui il cielo di Marte sarebbe sempre ed inequivocabilmente rosso, rosa, ecc. non è
attendibile e tantomeno indicativa di niente da un punto di vista scientifico. Inoltre, non sarebbe nemmeno giusto presupporre che l'atmosfera di Marte
sia eternamente immersa nella polvere “rossa” e, allo stesso tempo, estremamente “tenue e rarefatta": si tratta di un’affermazione contraddittoria tanto
più che la polvere (la quale pesa più dell’aria) cade sempre a terra. Se dunque provassimo a riformulare il concetto al contrario, probabilmente saremmo
già in grado di chiudere la querelle: "Se non ci fosse la polvere “rossa” quale sarebbe il colore del cielo di Marte?" La risposta è ovvia: "il cielo di Marte
sarebbe blu a motivo dello scattering prodotto dai gas atmosferici ".
L’illuminazione ambientale e l’utilizzo di fotocamere digitali - Allora perchè nel corso di questi decenni abbiamo accumulato un gran numero di
immagini della superficie di Marte che mostrano un vero e proprio "carnevale" di colori? Probabilmente uno dei motivi per cui spesso esse ci appaiono
sbilanciate verso il giallo, l’arancione o il rosso risiede proprio nella natura stessa delle fotocamere. Parlando di Marte, in virtù del grado di illuminazione
diurna, dell'incidenza dei raggi solari, della presenza di particolato e umidità a bassa quota, e persino a causa del tipo di terreno, l'immagine potrebbe
risultare "contaminata" da una dominante cromatica non propriamente reale o comunque accentuata in modo eccessivo.
La sequenza di fotogrammi visibile qui sopra ci illustra in maniera estremamente eloquente lo stesso effetto di sbilanciamento cromatico su riprese fatte
a Terra attraverso l’utilizzo di una fotocamera digitale. Come si può notare l’eccesso del rosso non è reale, altrimento dovremmo ritenere che la Terra sia
un “pianeta rosso”. Per riportare allo stato naturale le immagini si è ricorso ad un procedimento di editing della palette cromatica.
Abbiamo quindi compreso che la calibrazione delle immagini raw non è una tecnica impossibile da gestire, tuttavia presenta alcune problematiche di
natura interpretativa specie se venisse a mancare un riferimento specifico da adottare come metro di paragone. Dal momento che nessuno uomo ha mai
messo piede su Marte gli scienziati NASA hanno preso alcuni accorgimenti tecnici per ovviare al meglio a tale situazione e interpretare ugualmente ciò
che l’occhio umano dovrebbe vedere. La questione di base è che su Marte le condizioni di illuminazione (ovviamente più basse rispetto alla Terra) sono
piuttosto mutevoli, così come è mutevole il tasso di opacità atmosferica e di umidità. E, per di più, molte immagini a colori sono state scattate utilizzando
filtri la cui frequenza d'onda oltrepassa la percezione visiva dell'occhio umano.
La rimozione dello sbilanciamento cromatico è
un’operazione non eccessivamente complicata,
tuttavia non esente dalla necessità di essere
eseguita previo conoscenza di alcuni parametri
di base.
Fattori quali grado di illuminazione, posizione
del sole, opacità atmosferica locale, dominante
cromatica del terreno, possono contribuire tutti
insieme all’ottenimento di una buona o cattiva
elaborazione a seconda se ne teniamo conto
o meno.
In definitiva, non abbiamo ricorso ad oscure e
misteriose tecniche di editing: il risultato finale
ottenuto nei nostro elaborati era esattamente lì,
sotto gli occhi di tutti. E' stato però necessario
rimuovere lo sbilanciamento cromatico prodotto
molto probabilmente dalle stesse fotocamere
oppure da un tentativo di "interpretare" Marte
secondo la crendenza comune basata sul mito
del “Pianeta Rosso”.
Naturalmente preferiamo considerare le nostre
elaborazioni come "interpretazioni" benchè sia
plausibile che riflettano in qualche modo il vero
aspetto della superficie marziana.
Osservando questa serie di immagini abbiamo
la possibilità di constatare come la differenza
cromatica del terreno e del cielo sarebbe in
grado di indurci a conclusioni divergenti sulla
natura dell’ambiente locale a seconda di come
procediamo nell’elaborazione delle stesse.
Qualcuno potrebbe erroneamente pensare che
le nostre elaborazioni siano dei prodotti fatti ad
hoc allo scopo di soddisfare dubbi preconcetti
partoriti da storie pseudoscientifiche inventate
per far credere che Marte sia un pianeta
avamposto di qualche non ben precisata Civiltà
Aliena.
ATTENZIONE AI MONITORS!! - Anche l’uso
del monitor attraverso il quale elaboriamo le
immagini potrebbe talvolta risultare ambiguo.
Si noti infatti che il “colore domimante” cambia
da modello a modello. In certi casi si tratta di
sostanziose differenze: ciò che appare celeste
potrebbe diventare quasi giallo-verdognolo...
Qui sopra abbiamo tre eccellenti esempi di elaborazioni prodotte dai tecnici NASA relative alla missione MSL Curiosity. Non sono state ritoccate in nessun modo dal
Direttore di Pianeta Marte.net in quanto sembrano essere piuttosto realiastiche nel mostrarci l’aspetto di Gale Crater. In modo particolare è interessante constatare la
differente quantità di opacità atmosferica la quale conferisce al cielo un colore diverso che spazia dal celeste chiaro al bianco sporco. La nostra opinione è che tali
condizioni siano indicativo di variazioni nel tasso di particolato e vapore acqueo a bassa quota. L’elevata diffusione della luce in atmosfera ci suggerisce inoltre che non
sia rarefatta come generalmente creduto. Altre informazioni utili si possono trovare nella ricerca a cura del dr. Ron L. e del dr. Gilbert V. Levin:
http://www.gillevin.com/Mars/Reprint125_files/Reprint125-SPIE-2003-Color-Paper.htm
Che dire a proposito dei sistemi di calibrazione delle immagini adottati dai tecnici NASA? Ebbene, nonostante le critiche mosse da diversi appassionati e
ricercatori indipendenti, questi metodi sono di per se eccellenti e di elevatissima qualità. Il problema non risiede infatti in essi, ma nel modo in cui viene
eseguita la ricombinazione delle immagini raw.
Per quel che concerne l’attendibilità delle immagini calibrate come “white balanced” invitiamo i nostri lettori a fare un confronto fra questa categoria e le
raw. Nelle “white balanced” si è voluto tentare di offrire un’interpretazione in chiave “terrestre” schiarendo il paesaggio allo scopo di simulare le condizioni
di luminosità diurna del nostro pianeta.
I pannelli solari e il cielo rosso di Marte - Sia i lander Viking 1 e 2 che la Mars Pathfinder, il lander Phoenix e i rovers Spirit e Opportunity sono stati
dotati di pannelli fotovoltaici per la produzione di energia elettrica e garantire così il funzionamento degli strumenti delle sonde. Ma perchè ci interessa
Credits NASA (editing “white balanced”
Credits NASA (editing “raw”
Credits NASA (editing “raw”
Credits NASA (editing “raw”
trattare anche questo aspetto tecnico?
La radiazione luminosa del sole appare composta da luce
bianca che però, una volta scomposta mediante un prisma,
rivela la sua vera natura: un meravilgioso “coninuum”
di onde elettromagnetiche che partono da una lunghezza
d’onda di poco meno di 400 nanometri (violetto) fino a
quasi 800 nanometri (rosso profondo).
Queste radiazioni posseggono quindi una specifica
proprietà di vibrazione (frequenza eletteomagnetica) tanto
maggiore alle lunghezze d’onda minori e sempre minore
salendo verso le lunghezze d’onda maggiori.
Considerata dunque la struttura ed il funzionamento delle
celle solari generalmente utilizzate anche nei mezzi che
hanno fatto la storia dell’esplorazione di Marte, non ci resta
che porre la seguente domanda: cosa sarebbe accaduto al
rendimento dei lander in caso di perenne cielo rosso?
Molto probabilmente, un costante assorbimento delle altre
lunghezze d’onda da parte di condizioni meteorologiche
caratterizzate da perenni cappe di polvere “rossa”, avrebbe
potuto causare una sensibile diminuzione della produzione
di energia elettrica tale da rendere molto difficoltose le varie
operazioni scientifiche affidate ai dispositivi dei landers.
E’ anche probabile che la durata stessa deila vita dei lander
sarebbe potuta risultare assai più breve tanto in caso di
scarsità di luce bianca quanto di eccesso di polvere sopra
i pannelli stessi. Fortunatamente e felicemente i fatti hanno
confermato nel complesso che il funzionamento dei lander
è stato caratterizzato da lunga vita e buona efficienza di
tutti i sistemi di bordo.
Evidentemente la possibilità che anche su Marte, come
sulla Terra, esista una normale e globale condizione di
illuminazione da luce bianca è senza dubbio più plausibile
delle credenze diffuse (e quasi indiscusse) sui cieli rossi e
polverosi.
Vedi questi links: Effetto Fotovoltaico, Semiconduttori in
una cella solare e Celle ibride.
Ricostruzione visibile qui a sinistra: se alla superficie di Marte ci
fossero realmente le condizioni dichiarate di pressione media di 7 hPa
ecco cosa vedremmo camminando nel sito di Gale Crater durante una
giornata tipicamente serena.
Come ripetutamente indicato da molti scienziati, alla superficie di Marte
dovremmo sperimentare le stesse condizioni che sulla Terra si hanno
a 35 km di quota, con cielo nero profondo e pressione media di 6-7 hPa.
Ricostruzione visibile qui sotto: attenendoci all’eterna mitologia del
“pianeta rosso” abbiamo tentato di mostrare come tutti immaginano
Marte nella loro mente: buio, cupo e rosso.
Ciò che sorprende è il fatto che nemmeno le eccellenti immagini NASA
che arrivano dal rover Curiosity sembrino smuovere da questa obsoleta
concezione la quale permea caparbiamente sia le menti della gente
comune che quella di molti scienziati!
http://www.bo.astro.it/sait/spigolature/spigo402base.html
http://www.bo.astro.it/sait/spigolature/spigo402avanzato.html
http://ulisse.sissa.it/Answer.jsp?questionCod=62783488
ULTERIORI APPROFONDIMENTI AFFRONTATI SU PIANETA MARTE.NET:
Curiosity VS Viking: il grande cambiamernto?
The Gale Crater bulletin #2
Considerazioni tecniche su pressione, densità e punto triplo su Marte
Approfondimenti in merito alla presenza di acqua liquida su Marte
Marte: acqua o CO2?
Documentario sulle nevicate verificates inel sito di Viking 2