PREMESSA - Certe volte mi chiedo perché abbia passato tanta parte della mia vita ad occuparmi di esobiologia, cioè di qualcosa che nel vissuto comune non
esiste. Sarà per curiosità, per puntiglio o per caso, comunque è successo e questo ora mi espone a catastrofiche domande tipo “C’è vita su Marte?”. La catastrofe
proviene dal fatto che la domanda è sbagliata, in quanto la formulazione corretta sarebbe stata “Perché non dovrebbe esserci la vita su Marte?”.
Da tutti gli studi effettuati negli angoli più inospitali del nostro pianeta, ora sappiamo che forme di vita estremofile riescono a vivere e moltiplicarsi in barba ad ogni
difficoltà, al punto che è praticamente impossibile trovare sulla Terra un’area totalmente sterile. Tutte le volte che è successo in passato si è poi scoperto che era
stato commesso un errore nelle rilevazioni, corretto di norma a distanza di qualche decina di anni.
Con queste premesse si sarebbe dovuto dare per scontata la presenza di vita in ambito extraterrestre ed invece è successo esattamente il contrario. Perché? Qual
è il quadro filosofico di riferimento di questa impostazione paradigmatica? La risposta è molto semplice: dall’originale diatriba tra scienza e religione, che data dai
tempi di Galilei, la contesa si è successivamente trasferita sul terreno creazionismo-evoluzionismo, con la conseguenza che si è nel tempo affermata nella società
la convinzione che la vita sia frutto di una casualità cieca, tutt’al più regolata da un’entità superiore secondo le religioni rivelate.
Niente di più sbagliato. Conosciamo la struttura del DNA da poco più di 50 anni, ma fin dall’inizio era evidente che si era di fronte ad un software estremamente
complesso e che la probabilità che si fosse generato casualmente era uguale a zero. Un’informazione di questo genere immessa nella società avrebbe
inevitabilmente condotto alla verità, cioè che gli organismi terrestri erano “progettati” e solo in un secondo tempo si assoggettavano alle leggi dell’evoluzione. Da qui
si sarebbe generata una gran confusione tra creazionismo ed evoluzionismo e quindi tra religione e scienza, aprendo un ulteriore fronte ideologico. Quando Crick,
dopo il Nobel per la scoperta della struttura ad elica del DNA, si volse allo studio dei virus e si rese conto che i virus stessi erano in pratica delle “nano-macchine”
volte ad iniettare DNA (o RNA), arrivò alla formulazione della “panspermia guidata”. In pratica, che ci piacesse o meno, la vita arrivava dallo spazio, in micro
organismi che potevano restare in latenza per milioni di anni e attivarsi solo al momento giusto, una volta raggiunto un ecosistema qualunque. E quello che è peggio
restavano in orbita attorno al pianeta governandone in un certo senso la biomassa (cioè noi e le forme di vita che ci circondano), attraverso cicli annuali di
“upgrading”.
Naturalmente, mentre era facile spiegare ad un qualunque operatore ecologico o colletto bianco di Wall Street che il nostro mondo era governato dal caso, la cosa
diventava alquanto più ardua se gli si doveva spiegare che eravamo stati progettati e controllati da qualche entità aliena e che per decifrarne le motivazioni
potevamo tutt’al più consultare qualche testo sacro, scritto in una lingua che ormai non eravamo più in grado di comprendere davvero. Non chiedetevi quindi se
quello che leggerete è “vero” oppure no. La “verità” è un parametro sociale. Chiedetevi piuttosto se il processo logico è corretto e se apre alla vostra mente uno
scenario più completo.
Devo poi fare un’ultima piccola notazione. Come è ormai noto a tutti, la documentazione fotografica distribuita al pubblico da NASA ed altri enti spaziali è sempre
pesantemente artefatta e censurata, per cui il rischio occulto per il ricercatore indipendente è quello di entrare nella nutrita cerchia dei “Nuvolisti” o addirittura nella
loro più pesante degenerazione, cioè i “Palinfraschisti”. Nella mia personalissima nomenclatura i Nuvolisti sono coloro che, non avendo studiato a sufficienza il
funzionamento del nostro cervello, tendono a riconoscere forme antropomorfe o pseudo-terrestri in qualunque foto che presenti le cosiddette “anomalie”.
I Palinfraschisti sono invece Nuvolisti che saltano alle conclusioni, cioè scomodano miti e leggende “pro domo loro” al fine di dare un’identità sociale al loro concetto
di verità. Il confine tra una ricerca seria ed una dei Nuvolisti è molto labile, per cui spetterà sempre al lettore l’ultima parola. In altre parole liberatevi dai pregiudizi e
giudicate con la vostra testa.
NOMENCLATURA SPECIFICA - Nell’ambito delle mie ricerche sul materiale fotografico ufficiale ho applicato alcune regole fondamentali e cioè:
1.
La vita c’è sempre, per cui bisogna solo individuarne le tracce
2.
Le foto sono truccate, per cui una forma è plausibile solo se supportata da svariate immagini 3D
3.
Forme complesse uguali e ripetute in ecosistemi diversi sono un pesante indizio di origine biologica
Nello specifico ritengo “complessa” una forma che presenti per esempio assi di traslazione lineari a simmetria bilaterale con evidenti linee di crescita oppure
simmetria radiale raggiata con spaziature regolari. Bisogna ricordare che sul nostro pianeta convivono centinaia di migliaia di diverse forme di vita, per cui non
sarebbe logico attendersi che altrove le cose vadano diversamente. Anzi in ambienti più inospitali sarebbe logico prevedere un comportamento simbiotico al fine di
aumentare le possibilità di sopravvivenza, con ulteriore difficoltà per lo studioso di separare le forme di vita tra di loro, il tutto, ricordo, senza la possibilità di avere
reperti da sezionare o misurare.
Data la natura delle foto disponibili, non sarebbe logico attendersi di trovare in bella mostra organismi biologici complessi, ma la cosa è diversa se ne cerchiamo le
“casette”. In altre parole, nelle foto sarebbe impossibile vedere una termite, ma sarebbe difficile non vedere un termitaio (sempre che lo conoscessimo al punto di
riconoscerlo). Al lettore non sarà sfuggito che ho applicato alle “casette” gli stessi parametri che avrei applicato ad organismi biologici. La ragione è che un
processo evolutivo di miliardi di anni su una popolazione simbiotica, deve a mio parere aver trasferito delle matrici di imprinting nella loro capacità di costruzione,
anche a livello macrosistemico. In altre parole la collaborazione si deve essere evoluta in interconnessione seguendo linee geometriche coerenti con gli stimoli
energetici ricevuti.
Forzando il concetto, sarebbe logico aspettarsi dei “recettori” radiali, atti ad esplorare l’ambiente a 360°, e degli “esploratori” lineari, con un processo analogo a
quello che sulla Terra chiamiamo “cefalizzazione”. D’altra parte se l’acqua è necessaria per la vita e non è disponibile con facilità, non mi pare assurdo attendersi
che forme di vita aliene se la vadano a cercare dov’è, foss’anche a grandi profondità. Per non parlare poi della possibilità per molti microorganismi di usare il ferro
come serbatoio di ossigeno. In questa breve trattazione non c’è spazio per affrontare una materia così vasta, per cui mi limiterò ad una ben precisa tipologia,
costituita da organismi simbiotici litogeni, di cui è possibile trovare le tracce in qualsiasi foto ufficiale ripresa da sonde di superficie.
LE CASETTE - L’ambiente marziano è sostanzialmente arido, ma sottoposto di tanto in tanto a presenza di acqua liquida, soprattutto in presenza di fonti
geotermali, e interessato dalla presenza di ghiaccio nel permafrost e di vapore acqueo con ciclo giornaliero. In queste circostanze i sali disciolti nell’acqua possono
creare depositi profondi svariati Kilometri od essere utilizzati da microorganismi come “mattoni” per la costruzione di ripari dall’aspetto lapideo.
Sulla Terra abbiamo esempi analoghi, vedasi per esempio la foto qui sotto, dove si vede un bidone abbandonato ricoperto da incrostazioni di sali (Africa-Piana
di Dallol-Estremità settentrionale della depressione dancala).
Su Marte il bidone non c’è, per cui una forma di vita che voglia utilizzare questo sistema il supporto se lo deve costruire, ma come?
Il sistema è semplice ed ingegnoso nello stesso tempo. Un canale tubolare che fuoriesce dal terreno inizialmente con un’accentuata inclinazione e successivamente
disposto quasi parallelamente al substrato, interessato da ramificazioni simmetriche a maglia incrociata, con funzione presumibilmente sia distributiva (liquida e
nutrienti) che di supporto. La costruzione finale assomiglia ad una gabbia toracica o se preferite ad un cestino rovesciato, in cui la simmetria bilaterale è evidente
anche se imperfetta, come è logico aspettarsi da un impianto di questo tipo.
In questo schema ho evidenziato il canale centrale principale e gli assi di crescita laterali (questi ultimi non hanno una corrispondenza fisica diretta, rappresentano
solo delle direzioni).
La forma lanceolata sul terreno replica la vista in pianta di questa tipologia, come desumibile dai due esempi seguenti, ripresi in 3D da Spirit (quello a destra è stato
sollevato dal braccio del rover).
Come si può notare, le formazioni della foto presentano simmetria bilaterale con canale centrale rilevato e appaiono sostanzialmente cave, pur se riempite di
materiale fibroso dall’aspetto abbastanza friabile. Il rivestimento esterno è robusto e di apparenza lapidea, ma non così resistente alla compressione, visto che un
passaggio del rover può spezzarlo in più punti.
Ricordiamo che l’ipotesi è che sia costituito da una sorta di sandwich a base di sali disciolti nell’acqua e
successivamente depositati sulle maglie incrociate della struttura, così come si può vedere nella seguente immagine 3D (Spirit - Sol 52)
Le frecce gialle evidenziano le ramificazioni secondarie intrise d’acqua, mentre poco sopra si nota come le stesse abbiano formato una sorta di coperta ghiacciata
che in seguito lascerà i depositi salini costituenti la struttura vera e propria. Questo meccanismo di formazione comporta che la struttura non gravi direttamente sul
terreno, ma sia sospesa al canale centrale, tanto che ai lati talora le ramificazioni risultano non toccare neppure il terreno e presentano pure una superficie più
scabra, probabilmente per una minore efficacia dell’irrorazione in verticale e lontano dal canale centrale. Questo si traduce di norma in una mancata corrispondenza
con l’ombra sottostante, tanto da dare l’impressione a molti osservatori che si tratti per così dire di pietre volanti o comunque sovrapposte a qualche oggetto più
piccolo ed invisibile.
Resta inteso che questo comporta che tra i componenti del gruppo simbiotico ci siano microorganismi deputati a fissare i sali disciolti, con un sistema assimilabile a
quello stomatolitico terrestre.
HOUSE WATCHING - Passiamo ora ad uno studio divertente per il lettore, cioè come riconoscere queste “casette” (o gusci o similpietre, comunque le si voglia
chiamare) in fotografie in cui il terreno appare coperto di detriti di tutti i tipi, molto simili a rocce frantumate. Ovviamente non esistono netturbini nei paraggi, per cui le
casette intatte sono mescolate ai frammenti di quelle più vecchie, cosa questa che rende abbastanza arduo individuarle senza conoscerne i segreti, per cui vediamo
di svelarli. Ricordo che, man mano che procede la formazione del canale centrale, le ramificazioni secondarie crescono con la stessa velocità per cui le casette allo
stato iniziale appaiono così:
Ecco poi un altro esempio, in una fase immediatamente successiva:
Per consentire al lettore di visualizzare meglio la geometria dell’oggetto ne ho sviluppato una rappresentazione tridimensionale, atta ad evidenziarne la sezione
triangolare e la matrice di crescita, procedimento indispensabile in seguito per il riconoscimento delle fasi successive.
Successivamente il canale e le ramificazioni crescono con una curva diversa, talora ma non sempre tendente all’orizzontale, come in queste altre immagini 3D:
E’ interessante notare come a questo punto la struttura presenti una linea di crescita, consistente di norma in una sorta di piega trasversale dopo la quale il canale
centrale modifica la sua inclinazione. Una delle ipotesi è che la piega corrisponda ad una pausa nella costruzione, ma potrebbe anche essere dovuta alla necessità
di dividere la struttura in camere contigue e separate. Dal successivo sviluppo 3D si può vedere come la forma triangolare della sezione resti immutata al variare
delle sue dimensioni lungo l’inclinazione del canale.
Al crescere delle dimensioni e della lunghezza le casette presentano ulteriori linee di crescita, che corrispondono ad altrettante linee di frattura, visto che questi
gusci si rompono di norma proprio in corrispondenza delle pieghe suddette. Eccone un esempio marziano:
E adesso alcuni esempi lunari:
AS15-84-11277
AS17-145-22139
Forse qualcuno si stupirà nel trovare queste casette su corpi planetari diversi, ma le cose stanno proprio così, anche se non intendo in questa sede entrare
nell’argomento. Vediamo piuttosto cosa contengono questi gusci, visto che non si vedrebbe il motivo di tanto ingegnoso sforzo se fossero vuoti. Ci viene in soccorso
quest’altra immagine a colori di Spirit:
Come si vede la “pelle” superficiale è molto sottile (pochi mm. di spessore) e nell’interno c’è un’intricata massa fibrosa attorcigliata in matasse lineari e radiali
finemente scolpite. Si potrebbero formulare numerose ipotesi sulla loro natura, ma in mancanza di dati certi limitiamoci a prendere atto del fatto che le casette
proteggono “qualcosa” e che questo “qualcosa” è abbastanza evoluto da costruirsi un riparo.
Pur trovando un po’ repellenti queste manifestazioni aliene, non mi sentirei in grado di avanzare riserve sul loro gusto estetico in fatto di costruzioni. Sulla Terra
abbiamo svariati esempi di costruzioni analoghe, come la celeberrima Opera House di Sydney:
O come le architetture di Calatrava:
Forse è proprio vero che come affermava Platone tutto è già dentro di noi ed a noi spetta solo il compito di ricordarlo.
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