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Cercando un titolo per questa breve dissertazione non ho trovato di meglio che rifarmi al nome di un gruppo di pop inglese attivo nella seconda metà
degli anni ’80. Rimanendo nell’ambito della nostra analisi sulla veridicità dell’informazione scientifica è evidente che Curiosity richiama la missione
NASA che ha riempito le prime pagine di tutti i giornali. Quello che però noi del C.I.C.I.S. ci chiediamo è perché Curiosity abbia ucciso il gatto e
soprattutto quale sia il suddetto felino.
La risposta più ovvia sembra purtroppo essere che il gatto di cui sopra sia il diritto di tutti (scienziati e non) di non essere presi per i fondelli. Già dalle
immagini diffuse relativamente ai primi tre giorni dopo il landing abbiamo rilevato le consuete tecniche di tampering già applicate nelle missioni
precedenti, per cui le foto non restituiscono neppure lontanamente la situazione reale di Marte ed anzi ne forniscono una patetica versione edulcorata
ad uso e consumo dei creduloni che ancora confidano in una Scienza obiettiva ed indipendente.
Ancora una volta la tecnica usata è quella dell’insabbiamento (di nome e di fatto), consistente nel disegnare sulle immagini zone di sabbia in tutti i
punti “critici”. Di norma questa operazione è per di più supportata da una riduzione della risoluzione dell’immagine selettiva, cioè applicata solo sulle
porzioni affette da modifiche, ed avente più che altro la funzione di concedere agli artisti NASA il tempo di creare un paesaggio virtuale sostitutivo,
cosa che puntualmente avverrà tra qualche settimana.
Verificare queste affermazioni è molto facile ed alla porta di tutti (o quasi). Osservate questo dettaglio dei rilievi presenti nei subframes Curiosity di
Sol3.
L’immagine è ricavata dal canale verde di un mosaico di tre immagini, sottoposto a deconvoluzione. In base al processo applicato la risoluzione delle
varie parti dell’immagine dovrebbe essere coerente, ma non è cosÌ. La metà inferiore della foto è scura perché abbastanza dettagliata, quella
superiore invece è sgranata e priva di dettagli e presenta una risoluzione nettamente inferiore all’altra.
Si potrebbe pensare che il fatto sia dovuto alla lontananza dei rilievi, ma guardando attentamente si nota abbastanza chiaramente come la transizione
dalla porzione scura a quella chiara sia netta e non graduale come ci si dovrebbe aspettare e per di più appaia proprio a metà della pianura (!). Anche
in questo caso si potrebbe pensare ad una differenza nella composizione del terreno, visto che sappiamo che nel cratere Gale vi sono aree con
depositi gessosi adiacenti ad altre interessate da depositi di solfati. Il fatto è però che questo potrebbe al più giustificare la differenza di albedo, ma
non certo la repentina mancanza di dettagli.
Una domanda lecita potrebbe essere: “Che cosa mai ci potrebbe essere da nascondere?”. Beh, questa è una questione di punti di vista. Per un
ricercatore anche un dettaglio apparentemente insignificante può nascondere una miriade di informazioni e per fare un esempio possiamo prendere un
dettaglio di un’altra immagine, questa volta ricavata dall’area più vicina alla sonda e quindi con una risoluzione più “decente”, per quanto sempre
largamente inferiore a quella che ci potremmo aspettare da un cellulare albanese.
Le formazioni che ho indicato con le frecce rosse potrebbero anche non significare niente, ma di certo meriterebbero un’indagine, cosÌ come le
stratificazioni piatte e sporgenti che li contornano. I risultati però noi comuni mortali non li vedremo mai, perché le prossime foto ci mostreranno solo
sabbia finta e pietre di cartapesta, esattamente come già avvenuto per Spirit ed Opportunity.
Un ulteriore aspetto da considerare è perché si siano applicati due pesi e due misure, in pratica abbassando la risoluzione dei profili montagnosi più di
quanto si sia fatto per le aree pianeggianti. La risposta è a mio parere abbastanza evidente: spiegare al pubblico un’anomalia di 80 centimetri è molto
più facile che farlo con una di 300 metri.
Comunque, prima che le solite foglie di fico trasformino definitivamente il paesaggio nel consueto nulla, metto a disposizione degli appassionati un
paio di immagini tridimensionali ricavate dai frames di Sol2.
Fatene tesoro e sfoderate gli occhialini 3D, perché quanto più la sonda si avvicinerà ai rilievi, tanto più la quantità di dettagli finti aumenterà, fino alla
totale alterazione della realtà.
Un ultimo accenno è doveroso per quanto attinente alle motivazioni per cosÌ dire “filosofiche” di questi mascheramenti. Io propendo, anche in base ad
esperienze precedenti, per la necessità di non toccare argomenti metafisici al fine di spiegare anomalie macroscopiche, ma qualcun altro potrebbe
lecitamente supporre che questi atteggiamenti prudenziali siano dovuti alla volontà di non fornire gratuitamente informazioni costate un mucchio di
soldi.
Comunque, qualunque sia la motivazione, il fatto certo è che ultimamente le immagini diffuse pubblicamente non rappresentano nulla di più che uno
specchietto per le allodole ed hanno il solo fine di giustificare presso l’opinione pubblica le ingenti spese sostenute. Da parte nostra, io e i miei
collaboratori non finiremo mai di ringraziare la NASA per quello che ci ha nascosto, visto che facendolo ci ha confermato che c’era qualcosa da
nascondere.
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