La
notizia, rimbalzata in Italia il 10 gennaio, è apparsa nella rivista
specializzata "Spaceflight Now": tre meteoriti caduti sulla Terra,
secondo l'opinione di alcuni ricercatori, riporterebbero campioni
fossili di vita marziana.
La rivista ha intervistato David S. McKay, responsabile del dipartimento
di astrobiologia della NASA, il quale ha affermato di "non poter provare
rigorosamente l'esistenza di vita marziana" e tuttavia appare convinto
che il suo gruppo di lavoro sia "molto, molto vicino a dimostrare che su
Marte ci sia stata vita". Lo stesso, riferisce che altri campioni di
vita fossile, uguali a quelli citati, dunque batteri, sarebbero
ugualmente reperibili nel pezzo più grande in cui si ruppe il meteorite
Nakhla", caduto nel 1911 vicino alla città di Nakhla in Egitto, e
presente da oltre un secolo presso il Museo di Storia Naturale di
Londra. Si calcola che tali campioni potrebbero essere datati a 1,4
miliardi di anni fa, epoca in cui Marte si ritiene fosse dotato di
un'atmosfera più densa e umida di oggi. Si ipotizza che il pianeta rosso
sarebbe stato ricoperto da una rete di micro-organismi, collocati
nell'immediato sottosuolo. La questione della provenienza "marziana" dei
meteoriti, si basa inoltre su una comparazione della composizione
chimica compatibile con i reperti analizzati dalle sonde Viking, negli
anni '70.
Da parte
sua, un collaboratore di McKey, il biologo Everett K. Gibson, ritiene
che esistano altri campioni biologici del tutto comparabili a quelli
riscontrati nei meteoriti caduti in antartico. Tali ipotesi sono
confermate anche dal ricercatore Michael Meyer, responsabile scientifico
della NASA per l'esplorazione di Marte. Questi, in occasione del
convegno dell'Unione Americana di Geofisica a San Francisco, ha
dichiarato che gli scienziati NASA ipotizzano che la vita, sotto forma
di microrganismi, sia stata presente su Marte circa 3,6 miliardi di anni
fa. Lo stesso ha dichiarato che Marte potrebbe essere stato "popolato"
(da batteri, s'intende) nel primo miliardo d'anni successivo alla sua
formazione.
Per saperne di più, e per sapere se la notizia costituisce davvero una
novità in fatto di "Vita su Marte", ci siamo rivolti al nostro amico
Gianni Viola, responsabile della commissione tecno-scientifica per
l'Agenzia "Free Lance International Press" di Roma e autore del libro "La
civiltà di Marte" (Edizioni Mediterranee, Roma 2002).
Francesco Di Blasi: Cosa ci puoi dire a
proposito delle notizie riguardanti le meteoriti scoperte sulla Terra,
ritenute di origine marziana e, quel che più conta, interpretate come
"fonte di prova" dell'esistenza di vita su Marte?
Gianni Viola: Secondo una tesi accreditata presso tutti i centri
di ricerca istituzionali (ovvero legalmente riconosciuti) e nondimeno
nella impostazione di tutti gli studiosi che vi operano, la questione,
se su Marte esista o meno la vita, è tuttora una faccenda irrisolta.
Chiaro che, innanzitutto bisognerebbe mettersi d'accordo su che cosa
s'intenda con il termine "vita".
Abbandonata sin dal IV secolo d.C., la concezione secondo la quale la
vita coincide con il Cosmo (dunque il panteismo, come "symbolon", cioè
"unione") e, avendo operato una divisione fra ciò che noi giudichiamo
essere "vita" (dunque la forma riproducibile, organica), e ciò che
invece riteniamo sia "non vita" (la forma non riproducibile,
inorganica), ci ritroviamo tuttora con una concezione "diabolica" (da "dyabolon",
ovvero "divisione") che divide tali fattori, ritenendo di doverli
trattare, l'uno separatamente dall'altro.
Tale concezione, fino al presente, ha impedito ai più - a parte alcune
eccezioni di cui spero poter far parte - di giungere ad un metodo
condivisibile per "cercare la vita" (ovviamente "organica") fuori della
Terra e, nel caso, trovarla.
F.D.B.: Ma perché cercare la vita fuori della
Terra?
G.V.: Per quanto possa sembrare scontata e ingenua, la domanda ha
la sua ragion d'essere ed è più complessa di quanto potrebbe a prima
vista apparire. Se noi concepissimo tutto l'Universo e, dunque, anche la
Terra che abitiamo, come una "forma vivente", potremmo fare a meno di
chiederci se la vita esista o meno fuori dalla Terra, poiché la Terra
sarebbe già una forma di "vita"; ma, come ben sappiamo, tale concezione
oggi è relegata e confinata ai gruppi cosiddetti "esoterici" che
considerano il nostro Pianeta una macrocellula dell'Universo...
Si cerca
dunque la vita, per avere conferma di ciò che noi pensiamo sia la vita,
ovvero la vita organica, distinta da quella inorganica.
Tale posizione, non solo immagina che la Terra non sia "vita", ma
soprattutto si afferma che su di essa (o all'interno), la vita sia un
accidente che vi è nata in seguito alla concomitanza di alcune
condizioni che ne hanno reso possibile la nascita. Ci si domanda,
quindi, se tale processo sia potuto avvenire "anche" altrove. Infatti è
ben nota la posizione di chi, fino a poco tempo fa, sosteneva (diremo
noi, senza "vergogna") che la vita si fosse sviluppata solo sulla Terra,
rispetto a tutto l'Universo; oggi, immaginando che tale posizione sia
del tutto insostenibile, si è ristretto il campo, dichiarando che
l'unicità della Terra, semmai, è ascrivibile solo al Sistema Solare. In
pratica si è trasferito a quest'ultimo, ciò che in precedenza si
sosteneva con riferimento a tutto l'Universo.
Tuttavia, pure all'interno di queste posizioni così restrittive (e
retrive...), si è stabilito di dover porre una "eccezione" possibile,
dichiarando che, semmai, la vita, potrebbe essersi sviluppata solo su un
altro pianeta, ovvero su Marte. E qui siamo già nel pieno della
tragedia...
F.D.B.: Perché parli di "tragedia"? È possibile
o no, rispondere alla domanda se siamo soli nell'Universo? E in che modo
è stata cercata la vita su Marte?
G.V.: La posizione cosiddetta "ufficiale" (se mai, nella scienza,
potrebbe esistere una posizione ritenuta tale...) afferma che, "nessuno
adesso è in grado di dare una risposta definitiva". Fino al XVII secolo
Marte fu osservato solo ad occhio nudo, poi, da quella data in poi, ci
si servì di varie strumentazioni ottiche (cannocchiali, telescopi, ecc.)
e, già alla fine del XIX secolo, si poté giungere ad una visione molto
ravvicinata (molto, rispetto al passato), riuscendo a distinguere su
quel pianeta varie differenziazioni morfologiche e cromatiche, fra cui i
famosi "canali", ritenuti artificiali o di origine naturale (Schiaparelli
e Lowell, non esclusero mai questa possibilità). Con l'inizio dell'era
spaziale (anni '60 del XX secolo) si appurò che tali canali erano solo
un effetto ottico, mentre in molti casi si trattava di strutture
naturali (ad esempio la Valles Marineris).
La prima
missione importante che riuscì a mappare la quasi totalità della
superficie del pianeta, fu la "Mariner 9" del 1971-1972 e tre anni dopo,
con l'invio d'altre due sonde, le "Viking 1" e "Viking 2", che operarono
fino al 1982, si realizzò la prima (e unica!) opera di rilevazione
sistematica del pianeta in termini di completezza e di dettaglio.
Le immagini restituite dalle tre sonde avevano risoluzioni geometriche
che andavano da circa 1 Km a pochi centimetri, considerando le grandiose
realizzazioni dai due moduli di discesa delle Viking, che catturarono
immagini da pochi metri a circa 4 Km di distanza.
Ovvio che, con in mano una tale mole di informazioni (oltre 60.000
fotografie orbitali e terrestri), l'opera di ricerca della vita su Marte
avrebbe dovuto fare un balzo in avanti e, magari, giungere ad una
conclusione soddisfacente, in un senso o nell'altro, sia trovando o non
trovando la vita.
F.D.B.: In quale modo furono analizzate le
immagini provenienti da Marte?
G.V.: Strano a dirsi, benché la scienza abbia avuto a
disposizione sin dal 1972 (quindi da ben 38 anni) materiale prezioso su
cui applicare la disciplina già utilizzata per l'esame delle rilevazioni
satellitari della Terra - oggi denominata "fotointerpretazione" - si
deve constatare con rammarico che un tale studio non sia mai stato
condotto con riferimento al pianeta Marte. In pratica, pur avendo - con
successo e con ottimi risultati - studiato le immagini provenienti dalle
varie sonde di rilevazione che hanno esplorato la Terra dallo spazio
(dalle "Landsat" degli anni '70 del secolo scorso, fino all'"Ikonos 2",
alle "Spot", ecc.), il medesimo studio non è stato parimenti applicato
al pianeta Marte.
F.D.B.: Perché è successo tutto questo? Perché
non si è utilizzato un materiale che lo stesso Schiaparelli, pur con i
limitati mezzi tecnici a disposizione, riusciva già a preconizzare,
quando sperava che un giorno si sarebbe stati in grado di "fotografare
Marte da vicino"?
G.V.: Certo, in tale prospettiva, è possibile immaginare che cosa
avrebbe fatto Schiaparelli, se avesse avuto tale materiale a
disposizione e con quanta passione e intelligenza avrebbe dato lustro e
onori ad una scienza che oggi rifiuta di fare il proprio dovere e quando
possibile (ovvero quotidianamente) tenta di ostacolare quanti invece,
sulla scia della vera scienza, tentano di analizzare le immagini
marziane, semplicemente applicandovi il metodo scientifico.
Oggi, ad
esempio, si parla sempre degli "errori" commessi da Schiaparelli (e da
altri suoi contemporanei), ma si dimentica che anche ipotesi false
possono essere utili, se innescano processi di ricerca. La stessa cosa
vale per ipotesi che sono addirittura inverificabili.
Consideriamo ad esempio la fisica contemporanea. Essa è dominata dalla
teoria della sostanza della forza: è un'ipotesi grandiosa che, per sua
stessa natura, non è assolutamente verificabile, ma che fa supporre,
osservare, verificare una moltitudine di supposizioni particolareggiate.
Le grandi ipotesi che Cartesio considerava erroneamente "a priori" sono
state in parte distrutte; ma, prima di essere distrutte, esse hanno
provocato un gran numero di osservazioni e hanno potentemente
contribuito ai progressi della scienza.
F.D.B.: Esistono delle "ragioni storiche" del
rifiuto della scienza di studiare Marte in termini scientifici?
G.V.: Le ragioni di tale rifiuto non sono ascrivibili al singolo
ricercatore, esse nondimeno vanno ricercate nella secolare (o
millenaria?) sterile ed inutile lotta fra le due grandi scuole di
pensiero umane, il razionalismo e l'empirismo, entrambe sconfitte,
entrambe foraggiate, entrambe pericolose.
Il razionalismo è la tendenza che, avendo fede assoluta nella ragione,
afferma che la conoscenza della verità si apre non al senso e
all'esperienza, o alla fede rivelata, ma alle più alte funzioni dello
spirito, il quale non è un recipiente vuoto, una tabula rasa, ma porta
in sé e trae dalla sua interiorità principii, attività, idee (ad esempio
di causa e di sostanza), che consentono di penetrare nella realtà,
considerata razionale nella sua essenza. Tale tendenza filosofica dà la
possibilità di comprendere la realtà, ordinarla, volgerla a beneficio
dell'uomo nell'opera di dominare la natura.
F.D.B.: Puoi citarci, fra i filosofi, quelli
ascrivibili alla scuola "razionalista"?
G.V.: Razionalisti si possono considerare nell'antichità
Parmenide e Aristotele; Cartesio inizia il razionalismo moderno, seguito
da Spinoza, Leibniz, Kant, Hegel, ecc..
F.D.B.: E l'empirismo, come si configura e
quali personaggi possono comprendersi nella sua orbita?
G.V.: L'empirismo comprende le dottrine che considerano
l'"esperienza sensibile", le impressioni dei sensi come il fondamento e
la fonte prima, essenziale, insostituibile del conoscere umano; vi
appartengono: nell'antichità la scuola cirenaica, la cinica, l'epicurea,
la stoica e, nei tempi moderni, la filosofia di Bacone, di Locke e di
Hume, i quali non ammettono principii ed idee innate e affermano che la
conoscenza spunta soltanto dal contatto con le cose, dall'esperienza
delle cose esterne o dei propri stati interni; gli elementi fondamentali
sono le rappresentazioni semplici, le "sensazioni", che, collegandosi in
rapporti sempre più complessi, spiegano tutta l'attività spirituale, non
escluse le creazioni più alte.
F.D.B.: Nella disputa secolare fra i due
"schieramenti" è mai sorto uno spirito immune da tali "estremismi" che
ne abbia interpretato una sintesi?
G.V.: Strano a dirsi, un tale personaggio, è esistito, un grande
filosofo, oggi quasi del tutto sconosciuto, Ernest Naville, svizzero di
lingua francese, operante in Francia. La sua posizione è egregiamente
espressa da lui medesimo, quando dice: "Benché la lotta dell'empirismo e
del razionalismo riempia gli annali della filosofia, i pensatori che non
sono influenzati da un sistema estremista ammettono in generale, nel
fatto della conoscenza, una partecipazione dell'esperienza e una
partecipazione della ragione, vale a dire un dualismo. Kant, erede sotto
quest'aspetto delle tendenze di Leibniz, è, tra i filosofi moderni, il
rappresentante più illustre di questo punto di vista."
F.D.B.: Ma qual è la "bestia nera" che fa tanto
paura alla scienza che sfugge dal porsi su un piano di trasparenza,
evitando di affrontare a viso aperto la realtà?
G.V.: La "bestia nera" è l'ipotesi, fulgido prodotto
dell'immaginazione e fattore essenziale delle scienze. L'ipotesi cerca
di comprendere la realtà, il suo rifiuto cerca di piegare la realtà ai
propri limiti.
In tale situazione non è raro che si contrapponga a dei fatti reali, per
come sostiene lo stesso Naville: "una pretesa scienza la quale non è
altro che l'abitudine di spiriti imbevuti di false dottrine".
Se volessimo mettere in campo delle leggi della scienza ben consolidate
(ovvero, accettate e ritenute tali, dalla cosiddetta "comunità
scientifica"), dovremmo sempre ricordarci che, in teoria prima e nella
pratica, dopo, un fatto ben constatato prevale contro tutte le leggi
della scienza.
F.D.B.: A che punto è oggi la scienza nella
ricerca della vita nello spazio e in particolare riguardo al pianeta
Marte?
G.V.: La situazione è senza dubbio, drammatica. Da una parte non
è stata condotta alcuna ricerca secondo termini scientifici verificabili
(poiché non è stato esaminato a dovere, il materiale proveniente da
Marte), dall'altra parte, si è proceduto, basandosi su alcun dato
verificabile, a decretare cosa deve essere o non deve essere fatto
nell'ambito di tale ricerca. Cioè si è fatto ciò che la scienza non
potrebbe mai fare, poiché la scienza non può, né darsi né dare ad altri
dei limiti invalicabili, se non quelli del rispetto e della dignità di
ogni essere vivente.
In tale
questione le posizioni dei ricercatori sono molto chiare. Quel che
sorprende è che i fisici "moderni", non solo non sono riusciti ad
applicare il metodo scientifico nella ricerca della vita (intelligente,
speriamo...) nello spazio e nella fattispecie, su Marte; hanno ritenuto
opportunoi non dare importanza ai risultati che realmente le sonde hanno
ottenuto nell'esplorazione di quel pianeta e pretendono di sapere prima
(e di saperlo, con certezza) cosa eventualmente le sonde erano andate a
cercare su Marte, cosa potrebbero eventualmente trovarvi in appresso e
cosa invece andrebbe cercato e trovato. Insomma, la scienza sa tutto
prima di procedere verso la ricerca, prima di fare ciò che le è
proprio...
F.D.B.: Potresti offrirci qualche esempio di "posizione ufficiale"
riguardo alla ricerca della vita nello spazio?
G.V.: Riguardo a ciò che è stato fatto dalle sonde su Marte, ho
trovato su "Esistono gli extraterrestri", di Elio Sindoni: "Lo scopo
delle sonde Viking non era certo di far visita ai marziani, che ormai
restano confinati in qualche vecchio libro di fantascienza, bensì di
saggiare il suolo del pianeta per vedere se contenesse composti che
potessero essere indice di qualche forma di vita."
L'Autore, ignaro dei "veri" risultati degli esperimenti biologici (di
cui diremo più avanti) si esprime in questa maniera: "I campioni di
suolo esaminati, estratti alla profondità di alcuni centimetri, non
hanno mostrato presenza di vita biologica, ma tracce che possano far
pensare a fiumi prosciugati". Poi più in là, aggiunge: "C'è il sospetto
che qualche forma di vita possa celarsi in strati più interni del
pianeta". Questa è una delle "verità", che ogni studente di fisica,
apprende dalle labbra del docente e che, pari pari, ripeterà per tutta
la vita. Alla fine, lo stesso Autore dice "Appurato che una vita
intelligente non è possibile, al di fuori della Terra, nel Sistema
solare, la ricerca si è rivolta al di fuori di tale sistema, ed è
iniziata una vera e propria caccia ai pianeti extrasolari".
F.D.B.: Nell'antichità molti pensatori, pur in
assenza dei nostri mezzi di indagine, riuscirono ad esprimere concetti
molti profondi...
G.V.: Certo. Metrodoro (330-277 a.C.), scolaro e amico di
Epicuro, si esprimeva in questo modo: "Considerare che la Terra sia il
solo mondo abitato in uno spazio infinito è cosa tanto assurda quanto il
ritenere che in un intero campo seminato a miglio germini un solo
granello". E da parte sua il filosofo romano Tito Lucrezio Caro (ca.
98-54 a.C.) diceva: "La natura non è qualcosa che esiste solo nel mondo
sensibile - ovvero, nel mondo che i nostri limitati sensi, possono
percepire, dico io - dobbiamo aver fede nel credere che in altre regioni
dello spazio esistano altre Terre, abitate da altre genti e altri
animali".
Oggi, queste cosmologie greche sono giudicate non completamente basate
sull'astronomia scientifica o sull'osservazione sperimentale e si dice
che tutto era giustificato, piuttosto, da teorie filosofiche soggette al
più ampio dibattito e dissenso.
F.D.B.: Dunque i filosofi greci, in assenza di
strumentazioni ottiche, in assenza di dati di rilevazioni satellitari,
in assenza di strumenti di elaborazione (computer e quant'altro),
addirittura, in assenza del "concetto" e del "prodotto" fotografico,
erano giunti ad arditissime ipotesi, così ben congegnate e ancor meglio
espresse...?
G.V.: Non solo. Oggi, quei pensatori, ricevono una critica tanto
inconsistente, con l'accusa di non seguire una "astronomia scientifica"
e di utilizzare "osservazioni sperimentali", da parte di coloro i quali,
da quasi mezzo secolo, non si sono degnati di dar corso ad un vero
studio scientifico dei pianeti, utilizzando l'unico materiale utile allo
scopo, ovvero i dati delle rilevazioni satellitari che, proprio con
riferimento al pianeta Marte, hanno dimostrato, oltre ogni ragionevole
dubbio, che la vita intelligente lassù esiste in forme evidentissime e
soprattutto rilevabili dai nostri mezzi di esplorazione.
Questa la situazione, questo il dramma.
Il
Sindoni ad un certo punto dice: "La possibilità che esistessero esseri
extraterrestri continuava a rimanere oggetto di discussione, anche da
parte degli scienziati, che tuttavia divenivano sempre più scettici:
alla fine dell'Ottocento molti si erano ormai convinti della solitudine
dell'uomo nel Cosmo". Possiamo commentare che la scienza non deve
cercare certezze, mentre deve offrire dati certi. I dati certi non sono
certezze, ma dati in progressione, posti come superamento dei precedenti
che, a loro volta, saranno superati dai successivi.
F.D.B.: Qual è il giudizio complessivo su tutta
la faccenda delle meteoriti di origine marziana?
G.V.: Il giudizio complessivo sulla faccenda concernente
la vita su Marte è certamente negativo e non per pregiudizio. Si tratta
di una vicenda molto squallida, male impostata, male affrontata e
soprattutto strumentalizzata. In realtà, come troviamo scritto nel pezzo
"Una finestra sull'Universo" di Mario Di Martino (apparso su internet il
15 gennaio 2010, sul sito di "Focus") ad oggi, "sono più di 80 i
meteoriti che sono stati individuati e designati come provenienti da
Marte, per la semplice ragione che tutte quante hanno composizioni e
rapporti dei gas intrappolati al loro interno che corrispondono
esattamente ai dati raccolti dai due lander Viking (nel 1976) e
nondimeno queste rocce hanno una composizione identica a quella delle
rocce marziane che è stata determinata dalle numerose sonde che hanno
finora esplorato il pianeta rosso."
F.D.B.: A questo punto sorge spontanea la
domanda: perché rivolgere la propria attenzione alle rocce terrestri di
provenienza marziana e non piuttosto riconsiderare in una diversa
prospettiva le rocce marziane direttamente analizzate sul pianeta di
origine, cioè su Marte?
G.V.: Il valore ed il clamore rivolti alle recenti "rivelazioni"
delle meteoriti trovate sulla Terra e a cui viene attribuita una
provenienza marziana, rappresenta dunque una semplice
strumentalizzazione priva di alcun valore scientifico.
In pratica, avendo a disposizione dei risultati di esperimenti biologici
(condotti già 34 anni fa), ed essendo stati, quei risultati,
intelligentemente rivisitati nel 2001 tramite l'utilizzo di
apparecchiature più moderne, ed in tal modo avendo tali rivisitazioni
confermato in senso generale, la positività dei risultati in un primo
tempo assegnata dubbiosamente solo ad uno dei tre esperimenti condotti,
appare grottesco lo sforzo di trovare risultati positivi (del resto,
ancora non trovati) su meteoriti marziane presenti sulla Terra.
Come si sa, uno dei principi della scienza è di scegliere, nella
conduzione del metodo scientifico, la via più breve e più semplice e,
soprattutto, di non scartare per pregiudizio dei risultati già ottenuti,
ma in contrasto, con le posizioni dominanti della "casta scientifica".
F.D.B.: Quali furono in realtà i risultati
degli esperimenti del 1976?
G.V.: Le sonde "Viking" furono lanciate nel periodo
agosto-settembre 1975, giungendo su Marte l'estate successiva. I due
lander si posarono sulla superficie del pianeta successivamente
eseguendo una serie di esperimenti atti ad analizzare campioni del
suolo.
Questo esperimento, denominato "Liberazione", fornì carbone radioattivo
ai campioni di terreno presi da Marte e proseguì per ricercare ossido di
carbonio radioattivo, che poteva essere stato liberato dalla
respirazione di organismi viventi. In tutti i test, i campioni
produssero quantitativi misurabili di ossido di carbonio radioattivo.
In pratica un braccio robotizzato raccoglieva dei campioni di terreno
deponendoli in un contenitore assieme ad una soluzione nutritiva in
precedenza marcata con carbonio radioattivo. Se nel suolo ci fosse stato
qualche organismo vivente, avrebbe assimilato e processato gli elementi
nutritivi marcati dal carbonio radioattivo, eventualmente rilasciando
poi il carbonio nella forma di gas.
F.D.B.: Come si sviluppavano in pratica gli
esperimenti?
G.V.: L'esperimento era controllato attraverso un rilevatore di
radiazioni, installato sopra il coperchio del contenitore e collegato ad
esso attraverso un tubo nel quale ogni gas eventualmente rilasciato
poteva scorrere.
F.D.B.: E i risultati ottenuti, quali furono?
G.V.: L'esperimento diede risultati corretti, tanto è vero che i
ricercatori preposti - Patricia Straat e Gilbert Levin - trovarono
chiare prove del rilascio di gas. Il dottor Klem, commentando la
reazione della terra marziana al cosiddetto "brodo di pollo", sostiene
che se so tratta di un fenomeno biologico, ciò indica che la vita
microbica è più sviluppata lassù rispetto alla Terra.
Nonostante il raggiungimento di tali risultati, altri scienziati
suggerirono che il rilascio poteva essere meglio spiegato come risultato
di reazioni chimiche con componenti altamente reattivi, ad esempio
perossidi e superossidi.
Stante il
livello della ricerca all'epoca degli esperimenti, i due ricercatori si
trovarono nell'impossibilità di provare che quei gas erano stati
rilasciati da organismi viventi, quindi furono costretti ad abbandonare
l'ipotesi inizialmente sostenuta. Non solo. Altri ricercatori indagarono
su possibili spiegazioni alternative riguardo ai risultati ottenuti
stando bene attenti a non tirare in ballo organismi viventi. Nonostante
fossero ipotizzate diverse soluzioni, nessuna fra loro non è stata mai
ritenuta del tutto soddisfacente.
F.D.B.: Puoi dirci quali sono stati i dati
ottenuti dalla rivisitazione degli esperimenti?
G.V.: Ti leggo quanto riportato da Panorama nel 2001, sulle
convinzioni di Levin riguardo agli esperimenti: "Erano tutti a favore
della presenza di vita. Da allora ho sempre cercato d far capire il
valore di quello che si era scoperto, ma invano". "Tutti i microrganismi
terrestri che metabolizzano sostanze organiche liberano anidride
carbonica. Pensai che se si fosse preso un campione di suolo marziano e
lo si fosse spruzzato con acqua e sostanze nutrienti contenenti carbonio
radioattivo, eventuali organismi viventi si sarebbero nutriti d tali
sostanze, quindi avrebbero emesso anidride carbonica la cui molecola
sarebbe stata composta, tra l'altro, dal carbonio radioattivo immesso,
facile da rilevare. Il test fu provato sulla Terra, per verificarne la
validità, poi fu effettuato su Marte, da entrambe le sonde Viking, in
maniera automatica. E diede risultati analoghi: emissione d'anidride
carbonica come se fosse stata prodotta da un organismo vivente, che
respirava".
F.D.B.: Se non ricordo male, si occupò della
faccenda anche Michael Carr, geologo operante al centro di controllo
della NASA al tempo delle Viking...
G.V.: Sì, secondo una dichiarazione del Carr, nel momento in cui
arrivarono i dati dell'esperimento, egli si espresse in questi termini:
"Mio Dio, dissi, c'è vita su Marte. La risposta non lasciava dubbi. In
presenza dei nutrienti, si notava una forte emissione di anidride
carbonica radioattiva, che poi calava lentamente".
F.D.B.: Tutto faceva pensare che la vita su
Marte ci fosse, in ogni modo...
G.V.: Certo! Tuttavia il gelo scese tra gli scienziati quando un
altro esperimento a bordo di una delle due "Viking", con il compito di
trovare molecole organiche direttamente nel suolo di Marte, non ne trovò
neanche una. A tal proposito il ricercatore Levin afferma: "Non furono
individuate molecole organiche nel suolo di Marte solo perché il sistema
di rilevazione di allora non era così raffinato da poter mettere in luce
i microrganismi marziani".
F.D.B.: Altri scienziati si sono occupati della
medesima questione?
G.V.: Il secondo scienziato a sostenere l'ipotesi della vita è
Joseph Miller, professore al Dipartimento di Neurobiologia della "Keck
School of Medicine" presso l'Università della California del Sud (San
Diego), che ha il pieno sostegno della NASA. È stato lui, negli anni
'80, a preparare i giusti ritmi di veglia e sonno per gli astronauti
degli Shuttle.
A colpirlo è stato un dettaglio cui nessuno, 26 anni fa, aveva dato
importanza. Nell'ambito di una nuova ricerca NASA per la futura
esplorazione umana su Marte, lo scienziato ha di recente analizzato di
nuovo i grafici dell'esperimento di Levin, scoprendo che l'attività
chimica riscontrata nel suolo può essere correttamente spiegata solo
ammettendo la presenza di cellule viventi e secondo Miller tutto ciò
fornisce la prova che la vita potrebbe esistere sul Pianeta Rosso.
Ne ha dato notizia In occasione del 26° congresso annuale della Società
americana d'ingegneria ottica.
F.D.B.: Cosa afferma in particolare Miller?
G.V.: Miller ha affermato: "Il segnale dell'emissione dei gas non
solo aveva un ritmo circadiano, ma ha un preciso ritmo di 24,66 ore,
particolarmente significativo perché è uguale alla lunghezza di un
giorno marziano. Notai che l'emissione di anidride carbonica dal suolo
marziano non era continua, ma mostrava un aumento durante il giorno e un
calo di notte".
I ritmi coincidono perfettamente con il giorno marziano. E come
sostenuto da Miller, si tratta di "una ritmicità tipica di qualche forma
di attività biologica".
Anche stavolta i chimici si sono messi al lavoro per trovare una
risposta che non richiedesse la presenza di organismi viventi ma, dal
canto suo, Miller ha smontato tutte le ipotesi avanzate, precisando:
"Credo che Levin avesse ragione e già 25 anni fa. Ora la NASA dovrebbe
replicare un esperimento a bordo di una sonda, per rifare i test delle
Viking. Ma è restia".
F.D.B.: Che cosa sostengono i "detrattori"
della tesi della riuscita degli esperimenti biologici e in che modo
altri hanno confutato tali critiche?
G.V.: Per quanto concerne i dubbi sollevati 25 anni fa dai
chimici, che sostenevano che lo stesso segnale potesse semplicemente
derivare da reazioni chimiche con composti non organici del suolo
altamente reattivi, Miller afferma che questo scenario sembra ora in
sostanza impossibile da immaginare. "Per prima cosa, ci sono ricerche
che mostrano che i superossidi esposti ad una soluzione acquosa, come la
soluzione nutritiva usata nei Viking, sono rapidamente distrutti. Invece
i ritmi circadiani mostrati dal suolo marziano persisterono per ben nove
settimane. E non c'è ragione che una normale reazione chimica sia così
fortemente sincronizzata a così minuscole fluttuazioni di temperatura.
Se uniamo ciò alle recenti immagini delle sonde che indicano fortemente
che l'acqua fluì sulla superficie di Marte fin nel recente passato,
molte delle caratteristiche necessarie alla vita sono lì. Penso che i
ricercatori del Viking, nel 1976 ebbero eccellenti ragioni di credere di
aver scoperto la vita; ora, con questa nuova scoperta, direi che la vita
lassù è presente con un grado di certezza di almeno il 90%. E penso che
ci siano molti biologici d'accordo con me. Sulla base di nuove
informazioni che ho ricavato da uno degli esperimenti biologici che il
Vikng condusse su Marte, mi sento di sostenere che la probabilità
dell'esistenza di vita microbica, su pianeta è del 90 per cento".
F.D.B.: Della faccenda si sono occupati anche
tanti altri ricercatori. Puoi citarne alcuni?
G.V.: Si tratta di Vincent Di Petro e Gregor Molenaar, i quali,
senza mezzi termini, scrivono che il già citato dott. Levin (uno dei
responsabili degli esperimenti della ricerca della vita condotti con il
materiale prelevato dalle sonde Viking) "ha provato vigorosamente ed
effettivamente che gli esperimenti del Viking (...) probabilmente hanno
mostrato l'esistenza della vita".
Un altro ricercatore è Carol Stoker, biologo presso l'"Ames Reserarch
Center" della NASA. Egli afferma che dalle analisi delle immagini
ricevute dalla sonda Pathfinder, che scese su Marte nel 1997,
apparirebbero tracce di clorofilla sulle superficie in almeno due aree
vicino alla sonda. Si è preferito pensare a un "possibile errore", ma
Stoker ha analizzato quei luoghi in 15 lunghezze d'onda e in quelle due
aree si osserva proprio la lunghezza d'onda che si ottiene quando la
clorofilla assorbe la luce solare.
F.D.B.: Quali sono le conclusioni possibili?
G.V.: Se chiedi ad un qualsiasi operatore di un centro di
ricerca, ad un astronomo, ad un docente, se ritiene possibile la
presenza su Marte, dì vita intelligente, quindi in prospettiva, anche
umana, vi dirà, no, che non è possibile, anzi vi informerà che le sonde
ne hanno appurato l'assenza (mentre è vero il contrario) e infatti, per
tale asserzione nessuno ha mai fornito prove a sostegno di quanto
affermato. Del resto non potrebbe fornirne, perché di prove il tal
senso, non ne esistono. Ma andiamo avanti...
F.D.B.: Si sostiene sempre che potrebbero
esservi presenti solo delle forme elementari...
G.V.: Già. A proposito dei tre meteoriti cui si faceva cenno
poc'anzi, nell'intervista a "Spaceflight Now", David S. McKay,
responsabile del dipartimento di astrobiologia, afferma di "non poter
provare rigorosamente l'esistenza di vita marziana", ma è convinto che
il suo team sia "molto, molto vicino a dimostrare che su Marte ci sia
stata vita".
Dalle affermazioni di questo ricercatore si evince che:
-
la vita
intelligente non è mai stata trovata su Marte (poiché essa
sovercherebbe in significato, la vita elementare);
-
la vita
elementare non è stata ancora rilevata in termini definitivi.
Sul primo
punto stendiamo un velo pietoso, poiché McKay, alla pari di tutti i suoi
colleghi, non può sapere che la vita intelligente fu rilevata dalle
sonde "Mariner 9", "Viking 1" e "Viking 2" (e, nel caso, lo sapesse,
dovrebbe non dirlo). Sul secondo punto, al limite, potrebbe pure saperlo
e potrebbe pure dirlo, poiché, nella realtà, altri esperimenti biologici
(nella fattispecie, quelli condotti dai due moduli di discesa dei Viking,
nel 1976), dimostrarono sin da allora, che la vita su Marte esiste e non
ha mai cessato di esistere.
F.D.B.: In pratica, la strategia ufficiale
tende a dimostrare, che cosa...?
G.V.: Volendo sintetizzare, sarebbero questi i termini della
questione. I ricercatori tendono di raggiungere l'obiettivo,
dimostrando:
-
Tramite
la ricerca di vita intelligente fuori dal Sistema Solare, che essa
"non si trova all'interno di esso";
-
Tramite
la ricerca di vita elementare su Marte, che essa "non è stata ancora
trovata sul pianeta Rosso".
Ora, noi
ben sappiamo invece che entrambe queste posizioni sono false, poiché la
vita intelligente su Marte fu trovata nel 1972, dalla sonda "Mariner 9",
e riconfermata nel periodo 1976-1982 dalle sonde "Viking", mentre la
vita elementare fu trovata su Marte già nel 1976.
F.D.B.: In questi giorni si è affermato che
"Marte potrebbe essere stato popolato nel primo miliardo di anni
successivo alla sua formazione" (Marte, su meteoriti prove di vita - 10
gennaio 2010 - Agenzia ANSA), ovviamente popolato da microrganismi.
G.V.: In pratica la vita ipotizzata su Marte è relativa a forme
lontane nel "tempo" (3 miliardi di anni fa!) e nello "spazio
concettuale" (batteri anziché esseri intelligenti). Tutto, cioè,
combacia perfettamente con lo scopo di "allontanare" in termini fisici e
filosofici, l'idea che Marte possa ospitare "attualmente" una vita
intelligente.
Lo sforzo è tutto teso a dimostrare questa tesi e il linguaggio è
volutamente (e costrittivamente) fumoso: così gli scienziati sono
"molto, molto vicini a dimostrare che su Marte ci sia stata vita", si è
"praticamente certi che i meteoriti provengano da Marte", e ancora "i
risultati di questo studio possono essere un ottimo punto di partenza
per indagare sulle possibilità di vita su Marte" e così via discorrendo,
ma sempre nessuna certezza...
F.D.B.: Alla fine, si riparte sempre da
zero...?
G.V.: Certo. Vuoi un esempio? Il giornalista Luigi Bignami
afferma, nel titolo di un pezzo apparso sul sito del quotidiano La
Repubblica del 10 gennaio 2010: «Gli studiosi dei meteoriti: "Sicuri,
c'è vita su Marte"», quando poi, nella conclusione dello stesso, se ne
parla solo come ipotesi futura... Infatti dice: "Ora non rimane che
attendere le prossime missioni spaziali verso Marte che porteranno
strumenti per un'analisi approfondita del suolo marziano, con il fine
primo di cercare proprio sul luogo forme di vita passate o presenti".
F.D.B.: A questo punto è d'obbligo, un tuo
commento...
G.V.: Diciamo che non vorrei essere mai nei loro panni,
nell'inutile e patetico tentativo di nascondere quello che altri sanno
già da tempo.
F.D.B.: Un'ultima domanda. Prima riferivi delle
riprese satellitari che avrebbero rilevato in maniera chiara la presenza
di vita intelligente su Marte. Noi ben sappiamo che oggi la risoluzione
delle sonde in attività su Marte è ben superiore a quelle utilizzate in
passato. Come mai in tali rilevazioni, questi scienziati non vedono
nulla?
G.V.: A questo proposito ti offro una chicca incredibile... il
professore Jan-Peter Muller dell'UCL (University College London),
responsabile della mappatura della forma tridimensionale (3D) della
superficie marziana, dice: "Ora riusciamo a modellare la forma
tridimensionale di Marte ad una risoluzione sotto il metro, al pari di
un qualsiasi buon satellite commerciale che orbiti intorno alla Terra.
In questo modo siamo in grado di verificare la nostra ipotesi (la
presenza di acqua nel passato di Marte - nota di edicolaweb) in modo più
rigoroso di quanto fosse possibile in passato".
F.D.B.: Si accorgono dei laghi fossili, dei
fiumi in secca e dei fondi degli oceani ormai privi di acqua, ma non
riescono ad identificare nessuna fra le strutture "non naturali" già
vista e decodificata in base alle rilevazioni effettuate dalle missioni
"Mariner 9", "Viking 1" e "Viking 2"?
G.V.: Dici bene... Basterebbe solo considerare che, nelle
medesime condizioni in cui sono osservate le varie strutture che su
Marte appaiono con connotati artificiali, sulla Terra sono osservate
tutte le strutture, sulla "artificialità" delle quali nessun pone alcun
dubbio, per la semplice ragione che si tratta di strutture risaputamene
opera dell'ingegno umano.
Ciò è tanto vero perché molti ricercatori, interrogati dal sottoscritto,
hanno giudicato alcune strutture terrestri (artificiali), ritenendole di
origine naturali, perché presentate come se fossero marziane.
Questo significa che la "linea guida" di tali ricercatori non è il
metodo scientifico, quanto piuttosto un pregiudizio che fa ritenere loro
per principio che su Mate non possa esistere nulla di artificiale e che
"per decreto" si possano trovare solo tracce di vita elementare passata,
o presente, ma nulla che possa ricondursi a forme di vita intelligente.
Chiaro che una scienza che si ponga dei limiti, o che pretenda di porli
agli altri, è già una pratica del tutto priva di legittimazione
"scientifica". Una scienza così non può insegnare niente a nessuno e non
può essere presa in considerazione.
F.D.B.: Grazie per questo tuo contributo che
porta chiarezza...
G.V.: Grazie a te e un caro saluto ai lettori di Edicolaweb.
Gianni
Viola è responsabile della commissione tecno-scientifica per
l'Agenzia "Free Lance International Press" di Roma. È autore del libro "La
civiltà di Marte" (Edizioni Mediterranee, Roma 2002).
Per eventuali contatti:
[email protected]
a cura di Francesco Di Blasi
|