Ancora una volta diamo la
parola alla Missione NASA della sonda Phoenix. Dal nostro punto di vista a Vastitas Borealis stanno venendo alla luce alcune "verità" fondamentali di Marte
che difficilmente potranno essere messe nel cassetto, o fatte passare in
background, senza attrarre l'attenzione di coloro che seguono l'esplorazione
marziana con acume e perspicacia. Intanto abbiamo preferito - come sempre nostra
consuetudine - lasciare che i Mass Media dessero sfogo alla loro "corsa alla
notizia" così da poter prendere parola ad acque calme.
Dunque su Marte
nevicherebbe? Certamente si tratta di un fatto estremamente interessante, ma non
così clamoroso come molti credono. Per chi segue l'esplorazione del
"Pianeta Rosso" da lunga data ricorderà - solo per citare un esempio
altrettanto "clamoroso" - quella famosa immagine della Viking 2, peraltro
strausata allo scopo di sostenere di tutto e di più, nella quale si può ben
constatare la presenza di una rilevante coltre di (sembrerebbe) ghiaccio nel
terreno. Rivediamone tre versioni:
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fotogramma
vl2_p21873 |
fotogramma
normal_ZE-I-Viking2-frost |
fotogramma
ZE-I-Viking2-Morning-frost |
I fotogrammi originali
risalgono al 1976, quindi stiamo parlando di ben 32 anni fa (l'articolo che
stiamo leggendo è stato scritto nel 2008). La sostanza bianca
ricoprente il terreno era stata catalogata come ghiaccio/neve di CO2, ma tale
asserzione ha sempre incontrato una certa opposizione da parte di numerosi
Ricercatori Indipendenti, alcuni scienziati e comuni cittadini appassionati
dell'esplorazione marziana.
Su Marte (in linea
teorica) l'anidride carbonica dovrebbe ghiacciare qualora la temperatura raggiungesse valori intorno ai -125 °C con
pressione atmosferica compresa mediamente entro gli 8 millibar. Osservando il
grafico comparativo noterete come la temperatura di solidificazione del CO2
diminuisce ulteriormente al calare della pressione. La conclusione è abbastanza palese: poiché
il sito d'atterraggio di Viking 2 era situato a 44° Nord di latitudine nella
regione di Utopia Planitia, le probabilità che la sostanza visibile nei fotogrammi
fosse stata neve di CO2 non erano molte e questo perchè a latitudini intermedie
le temperature (a parità di pressione atmosferica) non dovrebbero scendere agli
stessi valori delle regioni polari, almeno in linea di principio. L'alternativa rimane una sola: ghiaccio
d'acqua oppure, se preferite, neve.
C'è poi da considerare un
ulteriore aspetto a proposito delle precipitazioni nevose di Marte. Chi conosce
la letteratura scientifica e divulgativa incentrata sul "Pianeta Rosso" sa bene
che gli scienziati hanno da sempre tenuto conto della possibilità che in
determinate condizioni climatologiche si avrebbero potuto verificare nevicate,
ma non d'acqua bensì di CO2 e, oltretutto, nelle regioni circumpolari. Pertanto,
la questione delle nevicate marziane non è di per se clamorosa: semmai va
sottolineato che non se n'è mai osservate in modo più o meno diretto.
L'AVEVAMO
PREVISTA! - Sull'effettiva possibilità
di assistere alla prima nevicata extraterrestre bisogna ammettere che non ci
eravamo risparmiati di prevederlo con larghissimo anticipo: l'8 giugno 2008
avevamo scritto: "Se la Phoenix avrà la buona sorte di vivere a lungo
probabilmente assisteremo "in diretta spazio-visione" - e per la prima volta
dalla superficie - ad una nevicata extraterrestre; dovremo attendere il prossimo
inverno nell'emisfero settentrionale."
La nostra incertezza
verteva tuttavia sulla natura della nevicata. Perchè? Perchè ci eravamo
attenuti, per sommario atteggiamento pragmatico, all'idea che l'atmosfera
marziana, essendo sostanzialmente composta da CO2, doveva produrre a quelle
latitudini nevicate di anidride carbonica. Invece è accaduto qualcosa di
straordinario: la nevicata c'è stata, non di CO2 ma di acqua! Straordinario è
comunque una parola grossa in quanto un sospetto sulla verità ce l'avevamo,
tant'è vero che avevamo scritto: "Ma, siccome il CO2
ha modalità di congelamento-sublimazione diversi dall'acqua
sappiamo già che ne arriverà in grande abbondanza al momento
giusto. Nel caso però la neve di CO2 non cadesse
allora vorrà dire molte cose che preferiamo lasciare intuire a
ciascun Lettore.... "
Cosa starebbe ad indicare
tutto ciò: che ne sappiamo più degli scienziati impegnati per la riuscita della
Missione Phoenix? No di certo! Significa però che non siamo nemmeno tanto mal
indirizzati nel nostro quadro generale sulle condizioni presenti e passate di
Marte. Il fatto è che, mentre nei mesi scorsi ci si è concentrati sugli scavi al
suolo e sul materiale che ne veniva fuori, noi avevamo visto oltre puntando ad
un target diverso sin dall'inizio, questo grazie al nostro modo di interpretare
tutti i dati in base al paradigma storico proposto su Pianeta Marte.net.
Oltretutto, al di là dei
cicli stagionali, dobbiamo considerare un fatto abbastanza evidente: Marte al
pari della Terra presenta sempre, e tutto l'anno, alcune caratteristiche
climatiche globali tra cui il clima equatoriale, il clima intermedio delle medie
latitudini e quello delle regioni polari. Avremo sempre ricambi termici e
correnti d'aria generate dalle differenze di temperatura tra una regione del
pianeta e l'altra. Sicché non sarebbe stato impossibile tentare di rilevare
attraverso i satelliti orbitali eventuali potenziali precipitazioni nevose di
CO2. Eppure le centinaia di migliaia di fotogrammi scattati non hanno offerto
molto al riguardo. Come mai?
Così, la nevicata rilavata
dal LIDAR (il dispositivo laser montato a bordo della Phoenix) è divenuta un
evento clamoroso, mai visto prima (ovvio!) e inatteso dalla stragrande
maggioranza dei ricercatori, mentre i nostri sospetti - e sottintese intuizioni -
ci conducevano a ben altre strade. "Non si e' mai visto niente del
genere su Marte prima d'ora" ha dichiarato Jim Whiteway, dell'università di
York, a Toronto.
LE INTERAZIONI
TRA SUOLO ED ATMOSFERA? - Potrà sembrare un
atteggiamento autocelebrativo ma, fatto sta che la nevicata marziana rilevata
dal LIDAR ha messo in moto una giusta serie di interrogativi da parte dei
ricercatori sulla possibilità di interazioni tra atmosfera ed acqua con il suolo
marziano. Eppure, anche su questi importanti aspetti venuti ufficialmente alla
ribalta così di recente avevamo già scritto con largo anticipo. Atteniamoci al
comunicato NASA del 29 settembre 2008 tracciandone i principali punti salienti.
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La sonda Phoenix ha
rilevato una nevicata su Marte, mentre gli esperimenti eseguiti attraverso
strumenti di bordo avrebbero fornito la prova che in passato vi sarebbero state
interazioni tra i minerali del suolo e l'acqua liquida.
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Proprio alcuni specifici
esperimenti avrebbero offerto ottimi indizi sulla presenza di carbonato di
calcio e terreni argillosi. La presenza di questi elementi è fondamentale perchè
sono i medesimi che troviamo anche sulla Terra esattamente dove ci aspetteremmo
di individuare acqua.
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Sarebbero state raccolte
sufficienti prove che poco sotto la superficie esisterebbe uno strato di
ghiaccio d'acqua mischiato al terreno. Si dovrà ora determinare se tale ghiaccio
si sia mai sciolto o possa sciogliersi; in tal caso, stando alle aspettative dei
ricercatori, contribuirebbe a convalidare l'idea che l'ambiente possa essere
stato adatto ad ospitare la vita.
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La prova riguardante il
carbonato di calcio individuato nei campioni raccolti dagli scavi sarebbe frutto
degli strumenti di bordo, ovvero il TEGA (micro-laboratorio per l'analisi dei
gas) ed il MECA (micro-laboratorio per l'analisi chimica del terreno.
All'interno del TEGA si sarebbe verificato un rilascio di CO2 a temperatura
elevata dai campioni di terreno. Poichè la decomposizione del carbonato di
calcio può verificarsi entro un determinato range di temperatura, con la
liberazione del CO2, lo spettrometro di massa ha potuto così confermare la
presenza del carbonato di calcio. Il MECA ha rilevato ciò che si potrebbe
definire "effetto di bufferizzazione" tipica del carbonato di calcio
nell'analisi chimica del terreno bagnato. Sicchè la concentrazione di calcio era
esattamente nelle previsioni di una soluzione attenuata di carbonato di calcio.
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Analogamente, sia il
TEGA che il MECA hanno rilevato la presenza di particelle di terreno argilloso
attraverso ulteriori analisi dei campioni raccolti dagli scavi.
Lo scavo "Snow White" (Credits NASA) |
Lo scavo "Snow White". Processing by Pianeta Marte.net)
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Naturalmente la grande
mole di dati dovrà essere ben studiata a fondo, ma gli sviluppi della Missione
Phoenix sono incoraggianti. Sfortunatamente la sonda dovrà fare i conti con
l'imminente inverno marziano, freddissimo e buio, durante il quale non sarà più
possibile raccogliere energia dai pannelli solari. Torniamo adesso al
nostro discorso iniziale sul come avevamo anticipato anche questa importante
scoperta resa nota ufficialmente in questi giorni. In data 7 luglio 2008 avevamo
scritto: "La nostra opinione, a questo punto, è che le interazioni fra aria e
suolo sono molto reali e più complesse di quanto potremmo immaginare, a dispetto
di chi crede che Marte sia "solamente" una landa sterile e quasi senza
atmosfera... Ciò che ha "sporcato" la paletta di Phoenix potrebbe essere
una condensa d'acqua e, forse, se ci soffermassimo un po' meglio sulle altre
parti metalliche del modulo la medesima condensa d'acqua si potrebbe riuscire ad
isolarla dal contesto."
In sostanza noi abbiamo
sempre avuto a priori la certezza che le interazioni tra suolo ed atmosfera
erano (e sono tuttora) molto più rilevanti di quanto si credeva (perchè ora
tocca accettare la realtà). Ecco cosa aggiungevamo sempre nell'articolo datato 7
luglio 2008: "...In realtà noi
avevamo ipotizzato che sotto il terreno radente alla superficie si trovano sia
il ghiaccio d'acqua che il ghiaccio secco, ma anche il sale; e questa, dal
nostro punto di vista, è la soluzione più logica per varie ragioni. Ma poi ci
siamo ricordati di un articolo di qualche anno fa presente sul nostro sito ...
Affinchè l'acqua liquida rimanga sopra il terreno occorre che
questi sia capace di trattenerla senza assorbirla facendola
scendere nel sottosuolo. Possibile che il terreno di Vastitas
Borealis sia diventato così poroso da raccogliere tutta l'acqua
rimanente? Stiamo parlando di una totale mutazione chimica del
terreno! ... Evidentemente non c'è solo il ghiaccio d'acqua
sotto la patina esterna di superficie ... Resta un ulteriore possibilità.
Potrebbero essere composti analoghi ai carbonati di calcio, di potassio ecc? Perchè no? Si tratta dopotutto di
prodotti generati da interazioni fra CO2 e acqua, come accade
anche sulla Terra."
Dunque, con 3 mesi di
anticipo ci eravamo sbilanciati nel proporre - sempre con il dovuto
pragmatismo e senza pretendere di campare certezze - qualcosa che, almeno per
noi, costituiva una quasi certezza, non di certo perchè ci siamo inventati
tutto, ma perchè i dati offerti e pubblicati dalla NASA giocavano completamente
a favore di quanto da noi messo per iscritto allora. Vogliamo comunque
aggiungere che la nostra "intuizione" è stata ancora una volta avvalorata dal
quadro interpretativo della storia di Marte proposto su Pianeta Marte.net.
Immagine in "falsi colori" mostrante
il terreno aderente alla paletta del robotic arm di Phoenix (Credits NASA) |
La stessa immagina rielaborata. (Credits
NASA - additive processing by Pianeta Marte.net) |
L'argomento però non si
esaurisce ancora per diverse ragioni sotto certi aspetti incredibili e, dal
nostro punto di vista, veramente sbalorditive. Nell'articolo dell'8 giugno
avevamo proposto vari modelli di terreno per Vastitas Borealis, ma quello da noi
ritenuto più verosimile adduceva ad uno che definimmo "stratificazione
irregolare" (diciamo pure "disomogenea" o meglio ancora "mista"): "In tal caso avremmo una texture composta da
parti di terreno secco alternate a parti di terreno umido e
compatto con - perchè no - frammenti di ghiaccio emergenti in
superficie." E questo è ormai un dato di fatto innegabile. Rimane ancora da
"scoprire" in modo definitivo la presenza di sale, elemento che noi abbiamo
additato più volte negli articoli dedicati alla Missione Phoenix. Ci siamo
interrogati a lungo sul perchè il sale non sembri ancora essere stato
individuato, fino a quando abbiamo deciso di relazionare la scoperta del
perclorato nei campioni di terreno esaminati dagli strumenti di bordo con la
nostra insistenza sul sale. Vediamo di approfondire la questione...
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Modello dello ione perclorato in 2D
(sinistra) e in 3D (centro). A destra è visibile un campione di carbonato
di calcio. (Fonte: wikipedia.it) |
Bisogna ammettere che la
voce "perclorato" potrebbe risultare a prima vista un po' vaga e generica, da
non confondere con i sali perclorati di sodio, potassio, litio, ammonio e
magnesio, aventi tutti come base il cloro ed elevate percentuali di ossigeno. Ad
ogni modo il perclorato è un composto di formula ClO4−, ovvero
l'anione del cloro il cui stato di ossidazione corrisponde a +7. L'acido
perclorico (HClO4)
con l'aggiunta di basi metalliche forma, appunto, i sali perclorati. Considerato
che nessuno può al momento sapere se e dove il perclorato su Marte sia diffuso
oltre i dintorni della sonda Phoenix, ci resta che formulare una nostra ipotesi
secondo cui questo composto chimico potrebbe essere ben presente in tutta la
distesa come derivato da ciò che un tempo era originariamente cloruro di sodio,
presente nell'oceano oggi sostituito dall'enorme deserto di Vastitas Borealis.
Ma come si sarebbe trasformato il cloruro di sodio in perclorato? Forse
attraverso la dissociazione dell'atomo di sodio e la successiva ossidazione del
cloro. Poichè la nostra tesi globale sulla storia di Marte presuppone un
mutamento delle condizioni ambientali dell'intero pianeta violente e repentine,
la causa scatenante potrebbe essere stata un evento di tipo
elettrico-gravitazionale di enorme portata, correlato e/o immediatamente seguito
dalla mineralizzazione dell'atmosfera del pianeta. In pratica l'ossigeno
precipitò al suolo ossidando tutta la superficie e dando origine a numerosissimi
minerali ossidati. L'ematite grigia e l'ematite rossa sono ormai ben conosciute.
Dunque il perclorato potrebbe costituire l'eredità di quel sale che un tempo era
disciolto nel mare. Chissà, forse in futuro si individueranno persino sali
perclorati di sodio. In sostanza, il sale da noi previsto potrebbe esistere
sotto forma di altri composti chimici. Si tenga conto che a Meridiani Planum
sono state individuate dal rover Oppurtunity molte sostanze minerali e composti
tipici delle interazioni con acqua, tanto da far pensare ad una elevatissima
salinità o acidità del presunto mare che un tempo occupava quella regione.
CORRELAZIONI - Poichè la nevicata e le
scoperte effettuate sulle analisi dei campioni di suolo sono state messe in
correlazione proprio dagli stessi scienziati, non possiamo fare a meno che
prenderne atto e ribadire la nostra non-sorpresa al riguardo. Il fatto che i
ricercatori siano finalmente ben motivati a sapere se eventuali precipitazioni
nevose (d'acqua e NON di CO2) possano toccare terra ci rallegra moltissimo, ma è
il capire le ragione del come e perchè a creare qualche perplessità. La neve si sarebbe
formata all'interno di nubi situate a 4 km di altitudine, avrebbe percorso 1,5 km di discesa
fino a quota 2,5 km, dopodiché si sarebbe vaporizzata. In altre parole la neve
non ha mai toccato terra.
Noi abbiamo optato da
parecchio tempo per una spiegazione tutto sommato semplice: esiste una rilevante
cappa di umidità permanente a bassa quota su tutto il pianeta. Stop. Perciò a
Vastitas Borealis qualsiasi condensa d'acqua a quote maggiori cadrà al suolo
sotto forma di finissime particelle ghiacciate. Potrà sembrare un controsenso
perchè si sa che la neve in caduta libera tende a formare fiocchi di varia
grandezza. Ma evidentemente le cose sulla Terra non corrispondono esattamente
allo svolgimento delle medesime su Marte. Visto che la temperatura delle nebbie
al suolo e delle nubi pare esse molto simile (accettando come attendibili i dati
del grafico sopra) la risposta più semplice al motivo per cui la neve non tocca
terra potrebbe essere la seguente: una corrente d'aria sottostante le nubi
avrebbe letteralmente funto da dispersore, trascinando via le particelle di neve
appena formatesi; la figura qui sotto ci da un'idea approssimativa del fenomeno.
Molti si sono chiesti
d'altronde come sia possibile che la neve si fosse sciolta (evaporata o
sublimata) senza toccare terra. Domande più che legittime. Tuttavia le
aspettative degli scienziati costituiscono per noi ulteriore sentore che le
nostre ipotesi potrebbero essere sensate e che l'acqua giunga a terra, magari a
qualche km di distanza, reagendo con il terreno sottostante.
Recentemente abbiamo
ragionato con il caro Amico e Collega dr. Paolo Fienga sulla possibilità che nel
terreno di Vastitas Borealis possa esistere fango (terreno + acqua allo stato
semisolido); bisogna ammettere che la logica ed il pragmatismo dovrebbero
spingerci a ritenerlo non possibile. Ciò nonostante molte immagini raccolte
dalla sonda Phoenix durante questi mesi hanno offerto (e offrono tuttora) molto
su cui riflettere. Non avrebbe comunque senso pensare che l'acqua sublimi
proprio mentre cade raggiungendo la bassa atmosfera dove la pressione sarebbe
maggiore che a quote maggiori, pur nonostante le temperature bassissime. Basta
rileggersi bene il grafico dell'acqua e del CO2 per rendersi conto della
situazione.
The "Icy" Trench - Sol 39 (natural
colors; credits: Dr Gianluigi. Barca) |
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CONCLUSIONI - Su questa serie di
affascinanti ed intriganti argomenti ci sarà ancora molto da lavorare,
tuttavia vorremmo chiarire qualche aspetto finale a beneficio di tutti i
Lettori.
Per prima
cosa noi non siamo di certo più esperti del Personale Tecnico impegnato
nella Missione Phoenix. Secondariamente, quello che abbiamo scritto in
questi mesi, e anche ora, non dimostra che ne sappiamo più degli
scienziati. E' vero
che potremmo aver anticipato i tempi rispetto ai comunicati ufficiali
della NASA, ma è bene tener presente che lo scienziato deve attenersi
sempre ad un protocollo professionale rigoroso e pragmatico che lo
costringe suo malgrado ad attenervisi in attesa che tutti i risultati di
esperimenti, studi comparativi ed interpretativi portino a risultati
definibili verosimili (dal loro punto di vista ovviamente). Che poi
possiamo condividerli o meno è una libera scelta individuale.
Le nostre
ipotesi sul perclorato e sul perchè la neve non abbia toccato il suolo
potrebbero essere interessanti e, chissà, persino valide, anticipando
nuovamente i tempi. Ma potrebbero essere errate. Meglio dunque essere
onesti e non cercare di incantare il Lettore che ci segue. Restiamo in
attesa. E' però
vero un fatto: abbiamo le nostre "certezze", intuizioni magari preconcette
basate sul nostro modo di interpretare la storia di Marte. Questo ha senza
dubbio una parte influente nel condurci a determinate conclusioni, ma
nessuno è obbligato a sposarle.
Agli
scienziati che stanno lavorando sull'esplorazione di Marte va elargito un
accorato ringraziamento per il loro lavoro. Senza di essi il
Ricercatore Indipendente non avrebbe nulla su cui dire la propria. E visti
i tempi bui ai quali stiamo avviandoci il nostro augurio è che questi
scienziati non ne paghino ingiustamente le spese venendo prima o poi
liquidati come oggetti inutili per i meschini interessi commerciali di
chicchessia.