Opportunity SOL 2147. Credits NASA. Elaborazione:
Holger Isemberg (www.areo.info) |
Le
ultime ricerche su Marte suggeriscono che la "vernice del deserto"
potrebbe contenere batteri -
Quando
la sonda della NASA Viking toccò il suolo di Marte, cercava segni di
vita. Invece, tutte le telecamere mostrarono un paesaggio arido,
polveroso e sterile.
O almeno così sembrava. Ma ciò che la missione Viking del 1976 e le
successive videro fu un paesaggio ricoperto di rocce rivestite di nero,
altamente riflettenti. Questo rivestimento assomiglia ad una sostanza
conosciuta sulla Terra come "vernice del deserto" che si trova nelle
regioni aride simili a Marte.
Le ultime ricerche suggeriscono che la "vernice del deserto" potrebbe
contenere batteri. Ci potrebbero essere anche su Marte microbi a
comporre questo materiale?
La "vernice del deserto" è stata a lungo qualcosa di misterioso. In
genere, è di 1/2 micrometri di spessore ma può aumentare in un migliaio
di anni o più, rendendo veramente difficile capire quale processo,
biologico o chimico, è stato coinvolto. Se fosse biologico bisognerà
scoprire se la stessa cosa è successa su Marte e se ancora oggi vi sono
microorganismi.
Se si va nella Valle della Morte in California, si può trovare la
"vernice del deserto" che ricopre l'intero pavimento. Si forma in molti
luoghi del mondo e nonostante i suoi tassi di crescita, può ricoprire
vaste aree. Liscia e altamente riflettente, è un rivestimento marrone
scuro/nero principalmente costituito di argilla che lega ferro e ossidi
di manganese che la rendono riflettente. Nella regione Khumbu in Nepal,
non lontano dall'Everest, ha trasformato le rocce. Dall'altra parte del
mondo, ha permesso ai popoli antichi di creare le linee di Nazca nel
deserto peruviano. Queste giganti elaborazioni, alcune più di 200 metri
di diametro, create più di 1000 anni fa, sono state realizzate
semplicemente rimuovendo la "vernice del deserto" e portando alla luce
la roccia più chiara sottostante.
George Merrill ha coniato il nome "vernice del deserto" nel 1898, mentre
lavorava alla US Geological Survey (USGS). Anche se nessuno l'ha
realmente studiata fino al 1954 quando Charles Hunt mostrò la "vernice
del deserto" su molti differenti tipi di roccia; ciò significava che non
era una semplice produzione di sostanze chimiche da parte di un certo
tipo di roccia, da qui le prime domande circa la sua provenienza
(Science, vol 120, p 183). Hunt cercò la "vernice del deserto" nelle
regioni umide, foreste pluviali tropicali e ad alta quota sulle Alpi e
le Montange Rocciose.
Le teorie non tardarono ad arrivare ed almeno inizialmente, la biologia
sembrava non entrarci. Nel 1958 Celeste Engel dell'USGS e Robert Sharp
del California Institute of Technology la spiegarono come un fenomeno
chimico atmosferico simile alle macchie di ossido di ferro -
rivestimenti rossi/arancione che si formano quando le particelle di
ferro si raccolgono sulla superficie della roccia e si legano insieme
con l'umidità (Geological Society of America Bulletin, vol 69, p 487).
Ha senso pensare che la "vernice del deserto" ha un'origine chimica, in
quanto molto simile a rivestimenti già noti. I rivestimenti di silice,
ad esempio, sono uno dei più comuni e si formano quando l'acido di
silice presente nella polvere e la rugiada condensano sulle superfici
rocciose.
STRATIFICAZIONI -
Tutto è cambiato, però, quando si è notata
una struttura all'interno della "vernice del deserto". Immagini al
microscopio elettronico prese da Randal Perry e John Adams alla
Università di Washington a Seattle nel 1978 hanno rilevato degli strati
tipo torta, con strisce nere di ossidi di manganese alternati a strati
arancioni di argilla e ferro (Nature, vol 276, p 489). Nessun altro
rivestimento roccioso combina strati di questa miscela di argilla con
ossidi metallici.
Le implicazioni sono enormi. Questa microstruttura sembrava
sorprendentemente simile a quella di stromatoliti fossili - strutture
laminate tipo rocce formate da antichi microrganismi che raccoglievano
sedimenti delle acque marine per costruire la loro casa. Anche se
crescono ancora oggi in alcuni posti isolati, le stromatoliti sono state
una delle prime forme di vita sulla Terra, dominando la documentazione
fossile da 3.5 miliardi di anni fa fino a circa 600 milioni di anni fa.
Opportunity SOL 2147. Credits NASA. |
Questo significa che la "vernice del
deserto" potrebbe avere un'origine biologica ed una serie di studi
proseguì per scoprire se i microorganismi ne fossero responsabili.
L'idea era che i microbi avessero la capiacità di sviluppare uno strato
di ossido di manganese all'inizio della loro evoluzione, per proteggersi
dai raggi UV del giovane Sole.
Il manganese si rilevò fondamentale tre anni più tardi per Ronald Dorn
dell'Arizona State University a Tempe e Theodore Oberlander della
Università della California, Berkeley. Essi trovarono quelli che
sembravano resti fossili di alcuni batteri all'interno dello strato di
ossido di manganese. Il manganese aveva una concentrazione maggiore
intorno a loro e questo suggeriva che i batteri furono coinvolti nel suo
processo di produzione.
Dom e Oberlander riuscirono poi ad isolare due depositi di
microorganismi e manganese, Metallogenium and Pedomicrobium, dalla
superficie dei campioni raccolti nel deserto del Mojave in California.
Quando li aggiunsero a parti di roccia sterilizzata in provetta, si
formò un sottile strato di manganese in circa sei mesi. I risultati
furono pubblicati nel "Microbial Origin of Desert Varnish" (Science, vol
213, p 1245).
Ma i test furono prematuri. Le caratteristiche naturali della "vernice
del deserto" erano assenti nella versione da laboratorio, cresciuta
troppo in fretta. La "vernice del deserto naturale" cresce lentamente, 1
o 2 micrometri ogni mille anni.
Dom, anche se ha ammesso che la prova e i suoi esperimenti non erano
conclusivi, credeva che le stratificazini di manganese fossero
microbiche e rimase fermo sulla propria teoria. Perchè la "vernice del
deserto" contiene così pochi microorganismi fossilizzati e come
farebbero a concentrare il manganese in così tanto tempo senza lasciare
traccia della loro esistenza?
David Krinsley potrebbe avere una spiegazione: per migliaia d'anni i
cambiamenti chimici all'interno del deposito, potrebbero aver distrutto
ogni batterio. Sedimentologo dell'Università dell'Oregon a Eugene,
Krinsley ha studiato dozzine di campioni di "vernice del deserto" e in
ognuno di essi ha rilevato una diffusione di batteri fossili. Ma ancora
non ha la prova di come abbiano prodotto questa sorta di vernice.
Dorn non è sorpreso che ci siano così pochi batteri nella "vernice del
deserto", considerato il tempo necessario per la sua formazione. "la mia
ipotesi è che forme molto rare di batteri concentrino manganese e
ferro", ha detto. Egli ritiene anche che i bassi tassi impediscono
teorie chimiche per la formazione della "vernice del deserto" perchè
smalti di silicio e altri tipi crescono in relativi brevi cicli annuali.
Ma la vera risposta al mistero della "roccia verniciata" potrebbe venire
da una grande grotta in New Mexico. Il pavimento della grotta Fort
Stanton è fatto di bianca e brillante calcite di fiume formatasi da
centinaia d'anni di allagamenti ma è il rivestimento scuro che ricopre
le pareti della grotta che interessa la ricerca sulla "vernixce del
deserto".
La maggior parte sono solo minerali di ossido di manganese ma da un
viaggio più recente nella grotta Mike Spilde dell'University of New
Mexico a Albuquerque e Penny Boston al New Mexico Institute of Mining
and Technology di Socorro hanno trovato ciò che sembra soddisfare la
definizione di "vernice del deserto" - ossidi di ferro e manganese
legati da argille, negli strati caratteristici della microstromatolite.
I rivestimenti sono stati coperti da batteri noti per depositare
manganese.
"Questi depositi sono di origine
biologica",
Spilde ha concluso quando ha presentato i risultati all'incontro della
Geological Society of America a Portland, Oregon, lo scorso ottobre.
E' necessaria un'ulteriore conferma, dice Dorn ma i depositi di grotta
"assomigliano alla vernice del
deserto".
Una differenza è che la "vernice" della grotta sembra essersi formata
molto più rapidamente: il rivestimento ha già cominciato a crescere nei
depositi in cui la squadra di Spilde aveva rimosso dei campioni pochi
anni prima. La grotta è umida, quindi forse questo aiuta il rivestimento
a crescere più rapidamente e spiega il lento tasso di crescita in
ambiente desertico, suggerisce Spilde.
VIA ALLA CACCIA -
Cosa centra tutto questo con la ricerca della vita su
Marte? Se la Terra è il nostro esempio, ci sono solo tre possibili
spiegazioni per le brillanti rocce su Marte - "vernice del desero",
smalto di silice o una lucidatura delle rocce da parte di vento e
sabbia.
Quest'ultima è più facile da scartare. Le rocce marziane sono
completamente avvolte dal loro rivestimento lucido, mentre la sabbiatura
naturale luciderebbe sono la parte esposta al vento. Come conferma, le
immagini infrarosse dei rover marziani hanno dimostrato che la
superficie lucida è piuttosto un rivestimento che parte della roccia
stessa.
Lo smalto di silice sembra troppo improbabile. I rover della NASA Spirit
e Opportunity sono in grado di rilevare la silice e nel 2007, Spirit
scavò nel terreno e ne trovò un grosso deposito ( http://www.nasa.gov/mission_pages/mer/mer-20070521.html),
fornendo una prova evidente che l'acqua liquida, una volta scorreva
sulla superficie del pianeta. I rover però, non hanno mai rilevato
silice sulle rocce analizzate.
Resta la "vernice del deserto". E' noto che tutte le materie prime
esistono su Marte e, dati i forti raggi UV che continuano a bombardare
il pianeta, è proprio sotto un rivestimento protettivo che ci si
aspetterebbe di trovare prove di vita. Marte è privo di molti dei
processi che erodono la "vernice del deserto" sulla Terra , dalla
pioggia ai licheni, così potrebbe nascondere prove di vita di milioni di
anni fa.
L'incertezza sull'origine della "vernice della roccia" - e la sua
complessa struttura chimica e l'aspetto, rendono difficile una
individuazione definitiva - significa che nessuno strumento è mai stato
progettato specificatamente per la ricerca della "vernice del deserto"
su Marte. Dovrebbe però, essere possibile individuarne alcuni elementi.
Ad esempio, lo spettrometro ad emissione termica di Spirit che ha
permesso di individuare silice, dovrebbe essere teoricamente in grado di
rilevare anche ossidi di manganese. Il minerale non è mai stato
individuato ma potrebbe essere perchè è presente in quantità esigue in
confronto con la roccia sottostante, dice Steve Ruff dell'Arizona State
University, che gestisce gli strumenti TES sul rover. Questo significa
che ogni segnale è troppo basso perchè lo strumento possa rivelarlo.
Entrambe i rover sono inoltre dotati di uno spettrometro a raggi x e
particelle alfa, che sparando raggi X e particelle alfa sulle superfici
rocciose può individuare gli elementi chimici presenti. Questi strumenti
non hanno mai rilevato i livelli elevati di manganese che ci si
aspetterebbe nella "vernice del deserto" - ma ancora una volta il
segnale potrebbe essere oscurato da altri elementi più forti. "Non
possiamo dire con certezza se il rivestimento contiene manganese o no",
dice Harry McSween, un geologo del progetto Mars rover.
Le missioni future saranno attrezzate meglio per la caccia. Il prossimo
rover che atterrerà sul Pianeta Rosso sarà il NASA Mars Science
Laboratory (http://marsprogram.jpl.nasa.gov/msl/),
previsto per il 2012. MSL può rilevare la "vernice del deserto", dice
Roger Wiens del Los Alamos National Laboratory, uno scienziato che
lavorerà ad un nuovo strumento sul MSL. Questo invierà impulsi laser sul
rivestimento roccioso e la lunghezza d'onda della luce emessa ci dirà
quali elementi sono resenti.
La NASA sta anche lavorando con l'Agenzia Spaziale Europea al programma
ExoMars, che invierà due rover nel 2018, in parte, a caccia di prove di
vita sulla superficie delle rocce. Da una missione ESA successiva, Mars
Sample Return - prevista per il 2020 - potrebbe finalmente arrivare la
risposta definitiva, la prima missione che riporterà dei campioni di
Marte sulla Terra.
Se la "vernice del deserto" e la "vernice di Marte" si rilevano la
stessa cosa, Mars Sample Return potrebbe definitivamente portare
Marziani sulla Terra.
martian sheen: life on the rocks
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